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La guerra dei dazi. Trump frena su auto, farmaci e chip

La guerra dei dazi. Trump frena su auto, farmaci e chip

Restano nel mirino i 'dirty 15', inclusa l'Ue. Colpo a Caracas

WASHINGTON, 24 marzo 2025, 20:25

di Claudio Salvalaggio

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. - RIPRODUZIONE RISERVATA

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Donald Trump sembra frenare in parte sui dazi annunciati per il 2 aprile, che potrebbe risparmiare ad alcuni settori come auto, farmaci e chip, pur imponendo quelli reciproci ai "dirty 15", ossia ai 15 Paesi con cui gli Usa hanno il peggior squilibrio commerciale.

L'ipotesi, trapelata su Bloomberg e Wall Street Journal, ha ridato slancio alla Borsa di New York che - a differenza di quelle europee - è rimbalzata dopo quattro settimane di perdite tra timori di guerre commerciali, crescita dell'inflazione e raffreddamento delle stime di crescita.

In una riunione di governo poi il presidente ha detto che annuncerà in un prossimo futuro tariffe su automobili, alluminio e prodotti farmaceutici, tutti prodotti che vuole made in Usa per fronteggiare eventuali emergenza, guerre comprese, ma non ha indicato una data. Il tycoon sembra quindi fare una mezza marcia indietro, dopo aver proclamato che il 2 aprile, da lui ribattezzato "Liberation Day", sarebbero scattati tutti i dazi, compresi quelli sulle auto, che ha già sospeso per un mese nel mercato nordamericano su richiesta delle tre Big (Gm, Ford e Stellantis).

Se le tariffe sull'automotive fossero sospese, ne beneficerebbero in particolare la Germania e anche l'Italia, come principale subfornitore del settore tedesco. Resta sconosciuto il destino dei dazi su acciaio e alluminio a Canada e Messico, anche questi sospesi dal presidente sino al 2 aprile.

Trump recentemente ha sottolineato l'importanza della flessibilità, ma la sua arma principale resta l'imprevedibilità e tutto potrebbe cambiare all'improvviso. Come con Caracas, cui ha imposto una "tariffa secondaria" contro l'emigrazione di "decine di migliaia di criminali", in base alla quale "qualsiasi Paese acquisti petrolio e/o gas dal Venezuela sarà costretto a pagare una tariffa del 25% agli Stati Uniti su qualsiasi commercio che faccia con il nostro Paese".

Ma sul presidente pesano l'andamento della Borsa, che finora ha sofferto i venti di guerra commerciale, nonché i timori di un rialzo dell'inflazione e di una frenata della crescita, che hanno spinto la Fed a non tagliare il costo del denaro. In ogni caso è deciso a imporre i dazi reciproci, in particolare su quelli che il segretario al Tesoro Scott Bessent ha definito i "dirty 15", espressione evocativa del titolo del celebre film del 1967 "Quella sporca dozzina", anche se i 15 in questo caso non fanno nulla di eroico. Sono i Paesi con cui Washington ha i maggiori squilibri commerciali e che quindi potrebbero essere colpiti più pesantemente.

 

 

L'amministrazione americana non li ha nominati, ma si prevede che a essere presi di mira saranno quelli indicati dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti in una nota del Federal Register in febbraio: in testa c'è la Cina (con cui gli Usa hanno un deficit di quasi 300 miliardi di dollari), seguita da Ue (oltre 225 miliardi) e Messico (quasi 175 miliardi). La lista comprende, in ordine decrescente, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India, Thailandia, Svizzera, Malesia, Indonesia, Cambogia e Sudafrica. Nel mirino anche la Russia.

 

 Resta l'incertezza se i dazi entreranno in vigore subito o se ci sarà un margine per negoziare, come stanno già facendo molti Paesi, Italia compresa. Alcuni puntano sugli investimenti in Usa dei propri colossi industriali: come il gruppo sudcoreano Hyundai, che ha annunciato oggi un investimento da 20 miliardi di dollari, compresa un'acciaieria da 5 miliardi di dollari in Louisiana che dovrebbe assumere circa 1.500 dipendenti e produrre acciaio di nuova generazione per produrre veicoli elettrici in due suoi stabilimenti. "Il modo migliore di navigare tra i dazi è aumentare la localizzazione", ha ammesso il ceo di Hyundai Motor, José Muñoz. 

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