Il ricordo, con una certa emozione e
soddisfazione, va ancora a Oumar, il primo bambino vaccinato
alla nascita contro l'epatite B e salvato dalla malattia
nonostante la mamma ne fosse portatrice. E' ancora lui il
simbolo dell'attività che la Fondazione Magis Ets, opera
missionaria della Provincia Euro-mediterranea della Compagnia di
Gesù, sta conducendo in Ciad nell'ambito del progetto "Per un
sistema sanitario resiliente e di qualità nella terra di
Toumai", portato avanti in particolare nelle sedi ospedaliere
'Le Bon Samaritain' della capitale N'Djamena - l'ospedale è
anche complesso universitario - e della città di Goundi, nella
Regione di Mandoul, a 700 km dalla capitale, e nell'altro
presidio sanitario 'Notre Dame des Apôtres', sempre a N'Djamena.
Il progetto, finanziato in buona parte con il contributo
dell'Aics, l'Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo,
ha l'obiettivo di "contribuire alla riduzione della mortalità
prematura causata delle malattie trasmissibili e non
trasmissibili in Ciad, attraverso l'accesso a una salute di
qualità e la lotta alla malnutrizione infantile". E così "la
popolazione che vive nell'area urbana e periurbana di N'Djamena
e nella Regione di Mandoul ha la possibilità di accedere a
strutture sanitarie migliorate in termini di qualità e
servizio".
Tutto questo in un Paese, il Ciad, che è uno dei più poveri
del mondo, caratterizzato da una forte instabilità politica (è
ancora delle scorse settimane un tentativo di colpo di Stato),
terzultimo nell'indice di sviluppo umano dello Human Development
Report dell'UNDP, e con un'aspettativa di vita di 54,2 anni. Tra
le campagne in atto nel progetto gestito dal Magis, per quanto
riguarda la prevenzione e la diagnosi precoce delle principali
malattie trasmissibili e non che colpiscono la popolazione, la
lotta contro l'Hiv e la sua trasmissione materno-infantile,
l'epatite B, il cancro, la malnutrizione acuta.
"Quello della sieropositività all'epatite B, a causa dello
stigma molto forte, è ancora un grande problema in Ciad -
racconta la project manager per la Fondazione Magis, Sabrina
Atturo -.Con il progetto vogliamo contribuire a ridurre la
trasmissione attraverso la 'porta di entrata verticale
madre-bambino': la mamma è positiva, partorisce e trasmette
automaticamente durante il parto il virus al bambino. Questa
cosa, che spesso viene data come una fatalità, in realtà può
essere evitata, attraverso una presa in carico economica e
psicologica della mamma incinta, la si mette sotto trattamento
antiretrovirale per abbassare la carica virale e ridurre il
rischio di trasmissione". "E una mamma mi diceva - prosegue -:
'Ah, grazie per avermi seguito durante la gravidanza, mi avete
spiegato cosa significa essere portatrice, cosa posso fare e
cosa non posso fare. Ma soprattutto mi avete ricordato che sono
portatrice però posso vivere degnamente prendendo con regolarità
i farmaci. Ho una forte responsabilità su tutta la mia
famiglia".
I problemi e le difficoltà per la gestione sanitaria in Ciad
restano tanti. "Ci sono pochi medici, pochi infermieri rispetto
al numero della popolazione - osserva Sabrina Atturo -. Ma c'è
anche il problema dei farmaci, non c'è un'azienda che produce
farmaci in loco, né apparecchiature, quindi tutto deve essere
importato dall'estero a costi proibitivi. Ci sono pochi
ingegneri biomedicali, per cui se si rompe un apparecchio devi
comunque aspettare la persona e/o il ricambio che arriva dal
Marocco, dall'Egitto, dall'Italia, e questo significa mesi e
mesi di attesa". A questo si aggiungono le molte criticità di
contesto, che aprono anche delle incognite per il futuro, come
appunto l'instabilità politica, con le forze armate francesi che
lasceranno il Ciad, una presenza russa che avanza e una presenza
cinese sempre più radicata sul piano economico. O le recenti
avvisaglie di un'avanzata del terrorismo jihadista, con Boko
Haram che finora, nel Paese, era relegato al solo Lago Ciad. O
ancora, il gran numero di rifugiati dal Sudan, in fuga dalla
guerra. Sul piano sociale, i tanti giovani senza lavoro, che
riempiono le periferie delle città senza sapere come sbarcare il
lunario, e per superare i morsi della fame si dànno all'alcol.
Non certo ultimi, infine, i cambiamenti climatici: l'ospedale
Le Bon Samaritain a N'Djamena l'anno scorso è stato
completamente inondato, ma "a parte le inondazioni causate dalla
pioggia che arriva dal sud del Paese, a N'Djamena piove sempre
di meno, la siccità avanza, il deserto avanza, è evidente -
spiega ancora Sabrina Atturo -. Il periodo secco è sempre più
lungo, e senz'acqua non si vive".
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