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Luca Barbareschi trumpiano in un farsesco nuovo Mamet

Luca Barbareschi trumpiano in un farsesco nuovo Mamet

Satira su presidenza Usa provocatoria, ma che perde mordente

ROMA, 05 marzo 2025, 17:19

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) E' l'anno e il mese delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ''Novembre'', come si intitola questa commedia farsesca di David Mamet, al Teatro Argentina sino al 16 marzo e poi in tournée. Le possibilità di rielezione del Presidente in carica Charles Smith sono praticamente nulle (''I dati di gradimento sembrano i valori del colesterolo di Gandhi'') e non ci sono più soldi per la campagna, ma Smith non ha alcuna intenzione di arrendersi. E' giunto a una simile situazione, come gli viene ricordato, per aver distrutto il paese durante il suo mandato e essersi comportato nei modi peggiori. Il testo è del 2007, dieci anni prima del primo mandato presidenziale di Trump, eppure oggi lo si finisce per vedere come un'allusione preveggente e Luca Barbareschi, che impersona Smith, si presenta in scena con una bella cravatta rossa appunto trumpiana e accenna al suo avversario come uno ''che inciampa e cresce nei sondaggi'' con allusione Biden, mostrandosi pronto a qualsiasi bassezza, ricatto, corruzione, per trovare denari per un proprio rilancio. Il presidente è angosciato e agitatissimo per la situazione, mentre si barcamena tra le richieste casalinghe della moglie, l'ambasciatore dell'Iran, i suoi che lo abbandonano, tranne il suo segretario personale Brown, e il rappresentante degli allevatori di tacchini, visto che siamo alla viglia del Giorno del Ringraziamento, in cui tutta l'America arrostisce tacchini. La trovata dei tacchini e del presidente che ogni anno ne grazia pubblicamente e simbolicamente uno, in cambio di un contributo, che in questo caso cercherà di far lievitare sino a cifre impensabili, avvertendo che in caso contrario avvierà una campagna che potrebbe mettere a terra gli allevatori, è una trovata simbolica e divertente. Il problema è che su di essa non si regge una scenetta più o meno lunga, ma tutta la piece e tutto si allunga a una farsa che perde mordente. Del resto, nonostante tutto sia un po' più che assurdo e tanto da non apparir più comico, con i Servizi segreti in pausa pranzo e il resto dello staff introvabile, mentre la persona che scrive i suoi discorsi dandogli un minimo di credibilità è una donna lesbica, Clarice Bernstein, che è in Cina, dove è andata a adottare un bambino. Appena tornata e, nonostante sia febbricitante, è messa al lavoro e in cambio chiede che il Presidente, in nome di quella legge superiore che è l'amore, la sposi con la sua compagna in diretta tv, cosa illegale per la legge e non conveniente davanti all'elettorato. Quella che ci ha sempre proposto Mamet, sin dall'inizio, dagli anni '80 quando vinse un Pulitzer con "Glengarry Glen Ross", è un'umanità di individui alla deriva e il suo iperrealismo, lo fece vedere come un figlio di Tennessee Williams e Arthur Miller, mentre più il suo lavoro procede e si arricchisce di titoli, più appare evidente che sia andato verso il confine di un quotidiano assurdo, esemplare, con echi semmai di Beckett e soprattutto di Pinter. I questo lavoro, che pure conta oramai circa vent'anni, invece è come su quella sua vena provocatoria avesse voluto innestare un Neil Simon cinico, ma il risultato è di un farsesco elementare, con un dialogo essenziale, abbondantemente infarcito di turpiloquio, per peggio caratterizzare protagonista e situazione, e nonostante l'irrealtà del tutto e la superficialità del racconto (''Tutti vogliono qualcosa e la vita è un dare e ricevere'') procede, sino a quando precipita oltre ogni limite, con l'entrata nello studio ovale di un capo indiano in costume e copricapo di penne colorate che parla e si agita come nemmeno una macchietta della peggio tv. Non c'è più allora alcun divertimento e anche la satira sul potere resta senza forza. Nonostante questo, l'impegno, lo sforzo, la caratterizzazione con rari momenti d'umanità del presidente di Barbareschi, che abbiamo visto negli anni in Mamet di grande qualità e eversione, vengono giustamente alla fine applauditi, assieme al Brown di Simone Colombari che cerca di tenergli testa e all'interpretazione della Bernstein di Chiara Noschese, che firma anche questa frenetica, agitata regia.
   
   

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