Il profondo rosso dell'automotive europeo ha almeno un colpevole: Pechino. Con una decisione attesa ormai da settimane, Bruxelles ha fatto scattare la scure dei dazi sulle auto elettriche made in China. A nulla sono valsi il 'nein' di Berlino e le crepe mostrate dai Ventisette che all'inizio del mese avevano rimesso nelle mani dell'esecutivo di Ursula von der Leyen l'onere di punire il Dragone per i maxi-sussidi sleali elargiti alla sua industria per inondare il mercato continentale di e-car a basso prezzo. La decisione dell'Ue - pur lasciando spiragli per un accordo futuro - apre a tutti gli effetti una guerra commerciale che allarma le ammiraglie tedesche fortemente radicate sul territorio cinese e trova invece il favore di Parigi, sostenitrice di una mossa vista come "cruciale per proteggere gli interessi" dell'Europa a una settimana dall'incognita Donald Trump oltreoceano.
Pechino "non è d'accordo o non accetta" i nuovi dazi Ue sulle e-car made in China a chiusura delle indagini antisovvenzioni che hanno rimarcato criticità a carico delle case automobilistiche europee. "La Cina non è d'accordo o non accetta la decisione e ha presentato un reclamo ai sensi del meccanismo di risoluzione delle controversie del Wto", ha detto un portavoce del ministero del Commercio, per il quale la Cina "adotterà tutte le misure necessarie per proteggere con fermezza i legittimi diritti e interessi delle sue aziende", pur prendendo atto che l'Ue continuerà le "consultazioni con la Cina sul piano di impegno sui prezzi".
A seguito della pubblicazione del regolamento di attuazione in Gazzetta Ufficiale, le misure Ue saranno operative a tutti gli effetti il 31 ottobre: nel dettaglio, i nuovi dazi si attestano al 7,8% per le Tesla prodotte a Shanghai, al 17% per le e-car di Byd, al 18,8% per Geely e al 35,3% per Saic. Invece, per gli altri gruppi che hanno collaborato all'indagine antitrust la sovrattassa all'import è del 20,7% di rispetto al 35,3% valido per tutte le aziende reticenti. Complessivamente, sommando l'obolo del 10% già in vigore, le tariffe raggiungeranno la quota del 45% e, una volta entrate in vigore, saranno definitive e dureranno cinque anni. "La Cina ha ripetutamente sottolineato che l'indagine antisovvenzioni dell'Ue sui veicoli elettrici cinesi presenta numerosi aspetti irragionevoli e non conformi, che rappresentano pratiche protezionistiche - ha rincarato il portavoce del ministero del Commercio nella nota -. Ci auguriamo che l'Ue adotti un atteggiamento costruttivo, collaborando con la Cina per raggiungere rapidamente una soluzione accettabile per entrambe le parti ed evitare un'escalation di attriti commerciali". Pechino, in risposta, ha anche avviato indagini sui sussidi Ue ad alcuni prodotti lattiero-caseari e di carne di maiale importati dal Dragone, oltre a sanzionare il brandy. Le crescenti tensioni commerciali tra Pechino e Bruxelles non si limitano alle auto elettriche, con l'Ue che sta indagando anche sui sussidi cinesi nei settori dei pannelli solari e delle turbine eoliche. L'Unione europea non è l'unica ad aver imposto tariffe elevate sulle importazioni di auto elettriche cinesi. Negli ultimi mesi, Canada e Usa hanno varato misure molto più elevate, pari al 100%, per stroncare i possibili effetti distorsivi sulle industrie nazionali.
Fallito nei giorni scorsi anche l'ottavo round di negoziati tra il responsabile del Commercio Ue, Valdis Dombrovskis, e l'omologo cinese Wang Wentao, la stretta a Palazzo Berlaymont era data ormai per scontata. La decisione è dunque arrivata senza grandi proclama: soltanto il regolamento di attuazione delle misure pubblicato come di prassi sul registro pubblico Ue e pronto a entrare, all'indomani, nella Gazzetta ufficiale. La ghigliottina scatterà poi a tutti gli effetti il 31 ottobre, nel tentativo ultimo di difendere un'industria europea - e i suoi circa 14 milioni di posti di lavoro - sempre più in difficoltà davanti al dumping cinese e a una transizione all'elettrico ancora lontana.
Nel dettaglio, i nuovi dazi Ue si attestano al 7,8% per le Tesla prodotte a Shanghai, al 17% per Byd, al 18,8% per Geely e al 35,3% per Saic. Per gli altri gruppi che hanno collaborato all'indagine antitrust la mano di Bruxelles sarà più clemente, con un 20,7% di sovrattasse rispetto al 35,3% valido per tutte le aziende invece reticenti. Complessivamente, sommando l'obolo del 10% già in vigore, le tariffe raggiungeranno quota 45%.
Dando il la a una prevedibile rappresaglia di Pechino dagli effetti nefasti: le contromisure commerciali del Dragone sui distillati hanno già colpito i produttori di cognac e brandy francesi, mentre le indagini pendenti su formaggi e carne di maiale rischiano di compromettere l'intero comparto agroalimentare europeo. Minacce che si aggiungono alla possibile ritorsione sui veicoli di grossa cilindrata made in Europe che tanto spaventano Berlino e il suo automotive al centro di una congiuntura sempre più negativa. I dazi Ue, nella denuncia della presidente dell'Associazione tedesca dell'industria automobilistica Hildegard Mueller, "sono un passo indietro per il libero commercio globale e per la prosperità e la salvaguardia dei posti di lavoro" in Europa e in Germania, segnate in questi giorni dagli annunci delle chiusure di stabilimenti Volkswagen e Audi.
La pressione del governo di Olaf Scholz è destinata a farsi sentire su von der Leyen e la Commissione Ue - gravata anche dallo spauracchio agitato da Trump di tariffe tra il 10 e il 20% su tutte le importazioni - non ha ancora scritto la parola fine sulla disputa commerciale. Il dialogo extra-time con Pechino per raggiungere un'intesa - portando le case cinesi a eliminare l'effetto dumping alzando i prezzi delle auto immesse sul mercato continentale - continuano serrati nel quadro del Wto.
Bruxelles, stando ad alcuni analisti, sta usando la tattica 'yin-yang' per strappare un'intesa con le singole società aggirando il governo. Una fumata bianca, in un modo o nell'altro, porterebbe comunque l'Ue ad annullare i dazi riscrivendo il regolamento appena pubblicato.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA