Monta la protesta dei lavoratori di Volkswagen. In centinaia hanno manifestato, anche di notte, nella fabbrica tedesca che molti già danno per chiusa, quella di Osnabrueck. Ma dopo l'annuncio di misure radicali volute dal cda del gruppo, che intende chiudere tre impianti in Germania e tagliare gli stipendi del 10%, il clima è teso e incerto per tutti i dipendenti del colosso tedesco, nell'attesa di notizie ufficiali. Perché, come ha detto la leader in cui si riconoscono, la combattiva presidente del Consiglio di fabbrica dalle origini calabresi, Daniela Cavallo, "nessuno è più al sicuro". E mentre il sindacato Ig Metall, che chiede di aumentare i salari, ha lanciato la prima ondata di scioperi di avvertimento del settore elettro-metallurgico, proprio alla vigilia dell'incontro di mercoledì coi manager di Wolfsburg, arriva la notizia della chiusura a febbraio dello stabilimento di Bruxelles dell' Audi, marchio di lusso del gruppo: una filiale che produce auto elettriche, i Suv Q8 e-tron.
Mentre, a proposito di Stellantis, il presidente John Elkann ha fatto sapere in una lettera alla Camera che non si presenterà in audizione in Parlamento, come era stato richiesto, e che invece attende che venga convocato un tavolo a Palazzo Chigi. Sui media tedeschi circolano invece le indiscrezioni su quali siano le sedi più a rischio nella Repubblica federale. Ed è la Faz a citare quelle in Sassonia, oltre al sito di Osnabrueck in Bassa Sassonia che impiega 2.500 persone. La tensione è altissima nel quartier generale del gruppo che meglio rappresenta la forza e la debolezza assieme dell'auto tedesca. E intanto a Berlino le cose non vanno molto meglio. Proprio questo martedì due vertici contrapposti hanno platealmente dimostrato quanto profonde siano ormai le crepe fra le diverse anime del governo. Ed è sempre più forte la sensazione che i tre alleati, il cancelliere Scholz e i suoi ministri, il leader liberale delegato alle Finanze Christian Lindner e il vicecancelliere responsabile all'Economia verde Robert Habeck, vadano ormai ognuno per conto proprio. Lindner è arrivato a sfidare il Kanzler convocando le voci dell'economia - il mondo delle associazioni e medie imprese - a un vertice in mattinata, a poche ore da quello organizzato con i ceo della grande industria e i sindacati da Scholz, nel pomeriggio, dove i due colleghi dell'esecutivo non sono neppure stati invitati.
Prove di scissione? Sono sempre più ricorrenti le voci che danno poche settimane di vita al governo del Semaforo. In cancelleria era presente naturalmente anche Oliver Blume, numero uno di Volkswagen, e il futuro delle fabbriche tedesche non può non essere fra i temi sul tavolo. Ma cosa potrà ottenere Scholz, che insiste sulla conservazione dei posti di lavoro bacchettando gli errori del management? Oltre alla sua debolezza politica, anche il contesto economico non aiuta. C'è il tema della crisi congiunturale: le stime sulla crescita danno la Germania in recessione nel 2024, per il secondo anno di seguito. E mancano effettive prospettive di miglioramento: è di oggi la previsione del DIHK, l'Unione delle camere di commercio, del fatto che anche nel 2025 la Repubblica federale vedrà una crescita zero. Dati che smentiscono le stime del governo su una crescita dell' 1,1% per il 2025. Ed è decisiva la questione della trasformazione dell'industria dell'auto, che non può certo essere indolore: uno studio della associazione VDA ha pronosticato che entro il 2035 potrebbero andare perduti altri 140 mila posti di lavoro in Germania nell'industria dell'auto, se il trend andrà avanti come accaduto finora, con una taglio di 46 mila posti fra il 2019 e il 2023. Fra i principali problemi che assillano il settore che in Germania fino al 2023 occupava 911 mila persone ci sono gli alti costi energetici, "si spendono fino a tre volte quanto avviene negli Usa" e la burocrazia, ha denunciato al talk show del canale pubblico Ard "Hart aber fair" la presidente Hildegard Mueller, difendendo i manager sotto accusa.
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