Sensibilizzare il paziente e
incentivare il 'reclutamento', creare una rete efficace tra
territorio e specialisti, potenziare il Gruppo oncologico
multidisciplinare. E' questa la proposta per combattere più
efficacemente il cancro del colon-retto secondo il dottor Luigi
Pasquale, direttore dell'Unità operativa complessa
Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell'Aorn dei Colli a
Napoli, responsabile scientifico di un incontro, svoltosi oggi
nell'ospedale 'Monaldi', su una patologia importante e che vede
il Sud in ritardo rispetto ad altre aree del Paese. "Nel mese
della prevenzione del tumore del colon-retto - ha detto Pasquale
durante le assise alle quali hanno partecipato esperti e
giornalisti - è indispensabile dare risalto ai numeri e alle
metodiche di screening, così come ai percorsi diagnostico
terapeutici a disposizione del paziente. Ad oggi il tumore del
colon-retto è la seconda neoplasia più frequente dopo quello
della mammella, con un importante incremento del 15% dal 2020 al
2023. Le nuove diagnosi si attestano su oltre 50.000 casi per
anno, con più di 500.000 pazienti con diagnosi già nota e circa
25.000 decessi nel 2024. Il picco di insorgenza si ha tra i 60 e
i 75 anni; dal 1984 al 2024 il numero di casi nella popolazione
mondiale tra i 20 e 40 anni è aumentato del 50%". E'
fondamentale, quindi, la diagnosi precoce, "che si può e si deve
ottenere attraverso i programmi di screening regionali e
nazionali offerti gratuitamente alla popolazione di età dai 50
ai 79 anni" ha aggiunto l'esperto.
Numerosi sono i test utilizzabili a tale scopo, partendo dalla
ricerca del sangue occulto fecale che, se positiva, impone
l'esecuzione di una colonscopia: "Tale procedura è ancora oggi
la prima scelta nella diagnosi precoce di adenomi o tumori del
colon-retto attraverso strumentazioni sempre più all'avanguardia
e tecniche di resezione endoscopica e/o chirurgica sempre meno
invasive, con il fondamentale supporto e confronto
multidisciplinare come gastroenterologi, chirurghi, oncologi,
radiologi, anatomopatologi". Appare altresì "preoccupante e
contraddittoria - ha evidenziato il dottor Luigi Pasquale - la
scarsa aderenza al programma di screening, anche e soprattutto
in Campania e nel Sud, dove l'estensione degli inviti al
programma di prevenzione presenta numeri impietosi rispetto alle
regioni del Nord - 80% rispetto al 99% delle regioni
settentrionali - così come le adesioni della popolazione, 19,7%
rispetto al 46,1%". Inoltre ad oggi alcuni percorsi
diagnostico-terapeutici specifici "appaiono ridondanti e non ben
definiti". Di fronte a questi numeri risulta subito chiaro il
ruolo della sanità territoriale nella diffusione e nella
sensibilizzazione alla problematica, a partire dal medico di
Medicina Generale fino alle ASL e di Rilievo Nazionale, "ma
anche degli specialisti nella ricerca di una gestione chiara e
lineare". Serve, quindi, una rete territoriale capillare che
preveda la collaborazione di tutte le figure coinvolte, in modo
da non solo rendere il paziente consapevole dell'importanza
dello screening, ma anche qualora dovesse averne bisogno di
offrigli istantaneamente e in maniera chiara un percorso
diagnostico adeguato e in grado, attraverso un Gruppo Oncologico
Multidisciplinare, di fornire la strategia terapeutica più
valida.
Durante l'incontro - aperto da Anna Iervolino, direttrice
generale dell'Azienda ospedaliera specialistica dei Colli, e nel
quale è intervenuto, fra gli altri, il presidente dell'Ordine
dei Medici di Napoli, Bruno Zuccarelli - sono stati affrontati i
temi della comunicazione, del coinvolgimento dei pazienti, delle
risorse economiche, delle nuove frontiere della diagnostica per
la prevenzione del tumore del colon retto (illustrate, tra gli
altri, nella relazione di Giuseppe Galloro, segretario generale
SIED, la Società Italiana di Endoscopica digestiva). La
dottoressa Elena Pennarola, in rappresentanza della Regione
Campania, ha evidenziato lo sforzo dell'ente per il
potenziamento delle attività organizzative per gli screening col
provvedimento 720 del dicembre scorso. La gastroenterologa Maria
Antonia Bianco ha sottolineato la necessità di introdurre nel
sistema sanitario pubblico un test genetico, una sorta di
biopsia liquida con un prelievo di sangue per uno studio sul DNA
libero circolante che potrebbe essere in grado di giungere più
efficacemente ad una diagnosi precisa. "E ciò ridurrebbe anche i
costi" ha detto.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA