"Siamo convinti che (Trump) sarà il leader capace di portare la pace nella regione e ripristinare stabilità", ha detto Sharaa, che ha espresso la volontà di migliorare i rapporti tra Siria e Stati Uniti, da decenni in aperta rivalità a causa tra l'altro della politica, prima, filo-sovietica e, poi, filo-iraniana dell'ex potere di Damasco.
Da settimane il nuovo governo siriano chiede insistentemente che gli Stati Uniti e l'Unione Europea levino le sanzioni da anni imposte alla Siria, devastata da 14 anni di guerra intestina e regionale e afflitta da una perdurante crisi economica. Nel Paese sono dispiegati circa 2 mila soldati americani, concentrati nel nord e nel nord-est. Nelle ultime settimane, in corrispondenza con la dissoluzione del potere incarnato per più di mezzo secolo dalla famiglia Assad lo scorso 8 dicembre, il Comando centrale americano ha intensificato l'invio di rinforzi militari proprio nelle regioni settentrionali e nord-orientali della Siria, fuori dal controllo del governo centrale di Damasco e amministrate dalle autorità curdo-siriane. In queste aree, le truppe Usa hanno rafforzato la loro presenza attorno ai giacimenti energetici a est dell'Eufrate e hanno esteso il controllo delle zone fino a due mesi fa controllate dalle forze russe a nord di Raqqa e di quelle filo-iraniane nell'area di Dayr az Zor.
Sulla presenza delle truppe americane in Siria, finora Sharaa e i suoi colonnelli a Damasco non si sono espressi. Mentre l'ambasciatore siriano all'Onu ha protestato di nuovo ieri per la presenza di forze militari israeliane nel sud-ovest della Siria, nella zona delle Alture occupate del Golan. L'alleanza strategica tra Stati Uniti e Israele e la vicinanza politica tra Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembrano rappresentare un ostacolo sulla via della normalizzazione dei rapporti tra Washington e Damasco. A meno che Sharaa, originario proprio del Golan (da cui l'epiteto arabo: Jolani), non decida di aprire lui stesso alla pace con Israele. (ANSAmed).
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