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Dopo l'ultimo violento terremoto che in Turchia e in Siria ha provocato più di 52.000 vittime, ci si chiede con insistenza ancora una volta se è possibile prevedere questi fenomeni naturali. E' una domanda che torna con insistenza anche in Italia, ogni volta che avviene un terremoto importante. Il nostro Paese si trova infatti al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica, e per questo motivo è storicamente interessata da terremoti. Solo nel 2022 sono stati registrati 16.302 eventi sismici sul territorio italiano e nelle aree limitrofe dalla Rete Sismica Nazionale: una media di 44 scosse al giorno, quasi una ogni mezz'ora. In passato non sono mancati terremoti di forte entità: gli eventi storici più significativi si sono verificati in Sicilia, nelle Alpi orientali e lungo gli Appennini centro-meridionali (dall’Abruzzo alla Calabria), ma anche nell’Appennino centro-settentrionale e nel Gargano. Abbiamo gli strumenti per prevederli?
Allo stato attuale delle cose non è possibile prevedere dove e quando avverrà un terremoto e quale magnitudo avrà. Analizzando la storia sismica di una regione, però, possiamo stimare statisticamente la probabilità che si verifichi un terremoto entro un certo intervallo di tempo. Questo approccio si basa sulla legge statistica di Gutenberg-Richter, che fornisce la frequenza degli eventi sismici in funzione della loro magnitudo.
Proprio questa legge viene usata per definire la mappa di pericolosità sismica.Intanto la ricerca va avanti nel tentativo di capire se esistono dei precursori sismici, ovvero dei cambiamenti di parametri chimici, fisici o del suolo che possono preannunciare una scossa. Purtroppo abbiamo poche informazioni a riguardo: la storia sismica che documenta i terremoti in Italia ed Europa copre a malapena un migliaio di anni, un periodo molto breve dal punto di vista geologico, e riporta informazioni solo in merito a grossi eventi sismici e quasi mai agli eventuali cambiamenti che accompagnano questi fenomeni.
Grazie agli strumenti che la tecnologia ci offre oggi, si stanno conducendo indagini a tutto campo: ad esempio si possono monitorare di continuo i piccoli terremoti, per vedere se ci sono dei cambiamenti, oppure si può misurare la variazione di velocità delle onde sismiche. Studi recenti si sono focalizzati anche sulla quota della falda freatica e sulla composizione chimica dell’acqua. Nel 2017 l’Ingv ha pubblicato un articolo su Nature che trattava proprio dei cambiamenti idrogeochimici rilevati prima e durante la sequenza sismica che ha colpito il Centro Italia nel 2016: i dati raccolti mostravano come gli eventi più forti (di magnitudo superiore a 5) abbiano generato un aumento del livello della falda fino a 100 chilometri di distanza. Anche il monitoraggio delle sorgenti d’acqua dell’Appennino centrale ha mostrato una variazione della concentrazione di alcuni elementi chimici e del pH prima della sequenza sismica.
Per approfondire la questione, l’Ingv ha iniziato a installare in modo estensivo delle reti multiparametriche per il monitoraggio, dove i tradizionali sensori sismici sono affiancati da rilevatori di anidride carbonica, sensori geodetici (che rilevano lo spostamento del terreno) e idrogeochimici (che valutano, ad esempio, la quota della falda, il pH e la salinità dell’acqua). Per ottimizzare queste reti e vedere i primi risultati, però, serviranno ancora diversi anni.
Fonte
Lucia Luzi, Direttrice della sezione di Milano dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv)
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