Confusi, "sospesi", spesso
discriminati: sono i nuovi italiani che vivono nella diocesi di
Roma. "Rischiano di apparire troppo italiani agli occhi della
propria famiglia e troppi stranieri agli occhi degli autoctoni.
Vedono la cittadinanza come un patto di reciprocità con la
comunità in cui vivono e non una concessione elargita dallo
Stato". E' quanto emerge da uno studio promosso dalla Diocesi di
Roma e realizzato dall'Istituto di Ricerche Internazionali
Archivio Disarmo, attraverso l'analisi di 119 rilevazioni,
faccia a faccia, con giovani di 21 diversi Paesi. Il dossier
viene presentato oggi nella parrocchia di San Giuseppe Cafasso,
a Torpignattara.
"Le traiettorie di vita dei nuovi italiani sono molto
eterogenee e necessitano di percorsi di inclusione modulati sui
differenti vissuti" ma a tutti i giovani intervistati è comune
"quella particolare condizione di 'sospensione' che, a livello
sia sociale sia culturale, rende questi giovani né totalmente
parte del Paese di insediamento né totalmente parte della
società di provenienza dei loro genitori". "È così che la
coesistenza di codici, valori, modelli dell'una e dell'altra
società (quella di origine e quella ospitante) rende ancora più
complesso - si legge nello studio - il processo di graduale
costruzione della propria identità personale che ogni
adolescente si trova a vivere".
E' quindi "importante, sulle tracce di quanto hanno suggerito
gli stessi intervistati, creare occasioni di ascolto, a iniziare
dalle scuole e dalle parrocchie".
Per questi giovani italiani il ruolo della famiglia è
"centrale", "più di uno tra loro definisce sacro".
I nuovi italiani dichiarano poi di "essere stati talvolta
vittima di episodi di discriminazione da parte sia dei compagni
di classe che dei professori. Discriminazioni che, in un
limitato numero di casi, si sono presentate anche in ambito
universitario e lavorativo".
Le comunità etniche cattoliche sono da sempre un punto di
riferimento per i migranti nel Paese di arrivo grazie
all'offerta di un supporto, materiale e simbolico. "Se tale
funzione risulta efficacemente espletata per la prima
generazione di migranti, è meno scontata per i giovani di
seconda generazione che in alcuni casi avvertono il ruolo
dell'istituzione religiosa come costrittivo e inadeguato. Allo
stesso tempo, però, la comunità cattolica 'nazionale' è per i
nuovi italiani un punto di incontro con coetanei che condividono
la stessa esperienza", conclude il rapporto.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA