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Il 1974 è un anno d’oro per il cinema (il Padrino parte II, La conversazione, C’eravamo tanto amati, Il portiere di notte, Frankestein jr., Il fantasma della libertà, per citarne solo alcuni) ma la ricostruzione noir di Roman Polansky, cinque anni dopo la strage di Bel Air di Charles Manson in cui morì la moglie Sharon Tate incinta e tre prima del caso di violenza sessuale che ancora lo insegue, è probabilmente il diamante più splendente di questa collezione. Concorrono alla realizzazione di un’atmosfera ineguagliata le prove degli attori: un Jack Nicholson stratosferico, con un ghigno al servizio della storia e un vistoso cerotto sul naso per tutto il film nel ruolo del detective Jack Gittes, una Faye Dunaway bella e fatale quant’altre mai e il patriarca del cinema noir, John Houston (battezzò il genere col seminale Il falcone maltese interpretato da Humphrey Bogart), in uno dei ruoli più sgradevoli che il cinema ricordi. L’enigma si scioglie ma l’ansia e il senso di minaccia che grava sullo spettatore no: “lascia stare Jake, è Chinatown”. Appunto.
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