(di Dario Marchetti)
Pochi ricordi, tantissime emozioni.
Perché se Nicolò Martinenghi ripensa alla sera del 28 luglio
nella Defence Arena di Parigi rivede solo dei flash di quelle
due vasche incredibili che lo hanno portato a vincere l'oro
olimpico nei 100 rana. "Come a Tokyo ricordo solo quando ho
toccato la piastra - racconta il nuotatore azzurro all'ANSA -.
Volevo vedere accesa una luce, una qualsiasi". A illuminarsi,
però, è più accecante, quella dell'oro ai Giochi. Poi il buio.
"Il podio ad esempio nemmeno lo ricordo - continua Nicolò
rivivendo la sera in cui è entrato nell'olimpo del nuoto
mondiale -. Ma ci sono anche altri momenti che proprio non
riesco a ricordare, forse perché le emozioni, ancora oggi, sono
troppo forti. Per fortuna ci sono le immagini ad aiutare".
Istantanee che da quella sera di luglio ha visto riproposte
in tutte le salse, eppure lui cerca di rimanere il ragazzo che
per 24 anni della sua vita ha inseguito un sogno coronato in una
notte di mezz'estate a Parigi. "La medaglia ti cambia se tu glie
lo permetti - dice l'azzurro -. Inevitabilmente quello che ti
gira intorno un minimo è diverso, ma io ora mi sento più libero
perché sono l'atleta che ho sempre voluto essere". Già, perché
si può vincere un oro europeo a Roma e un altro mondiale a
Budapest nei 100 rana e volere ancora di più. E allora il bronzo
olimpico di Tokyo non era sufficiente, serviva l'oro e i Giochi
francesi lo hanno accontentato. "E' una medaglia che mi dà
libertà", le parole di Nicolò che ora vuole guardare avanti.
"Uno sportivo non deve vivere del passato, ma pensare agli
obiettivi futuri", aggiunge. Per questo già a Parigi nella sua
testa è iniziato a rimbalzare quella parolina magica per tanti
atleti: "Los Angeles". "Subito dopo aver vinto l'oro avevo già
quel sassolino - spiega - Io però non ho mai lavorato per
quadrienni, ma sempre per stagioni. Pormi gli obiettivi step by
step mi ha sempre aiutato nella mia carriera e continuerò così.
Poi è ovvio che Los Angeles chiude un quadriennio e dunque un
percorso".
Non parlategli invece di fare il portabandiera nonostante
l'oro olimpico vinto, per una legge non scritta dello sport
italiano, lo candidi a papabile alfiere azzurro nel 2028. "Non
ci penso, ci sono tantissimi atleti che si meritano questa
bandiera più di me e poi dicono porti anche sfortuna (ride, ndr)
- scherza Nicolò -. Ma di là di questo e della sfortuna, alla
quale non credo, io solitamente comincio le gare il primo
giorno, stare quello precedente in piedi fino a tardi sarebbe
difficile e impegnativo. Inoltre non mi sento un atleta che può
fare da portabandiera, dunque non mi pongo nemmeno il problema".
La testa resta agli allenamenti visto che il 2025, tra gli
appuntamenti di cartello, prevede i mondiali di Singapore.
"Qualche cambiamento alla preparazione lo apporterò - racconta
-, è inevitabile dopo una medaglia così. Il famoso stimolo da
qualche parte deve arrivare e devi metterti in gioco in modo
diverso". Per questo non esclude un'esperienza all'estero come
quella in Australia del suo collega, Thomas Ceccon. "Io sono
assolutamente favorevole a questo tipo di esperienze - conclude
-. Ma sono cose che le persone devono sentirsi dentro e non nego
di voler provare anche io un qualcosa di simile, mi sento
pronto".
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