"Non vorrei parlare di ciò che ho
dovuto subire, dico solo che miei parenti e amici hanno avuto un
destino atroce e sono stati uccisi. Eppure io sono qui, e cerco
di portare un messaggio di pace e di far capire che noi siamo
essere umani". Yazan Al Bawwab, 24 anni, nuotatore che vive a
Dubai ma ai Giochi rappresenta la Palestina ("i miei genitori,
invece, hanno passaporto italiano") è stato eliminato dopo le
batterie dei 100 dorso, ma cerca di spiegare il senso della sua
partecipazione, la seconda dopo Tokyo, all'Olimpiade di Parigi.
Questo ragazzo che il Cio ha nominato suo 'Young Leader' e che è
un 'ambassador' della Fisu, la federazione mondiale degli sport
universitari (Yazan ha due lauree, in ingegneria aeromeccanica e
in sports management) , e che ha vinto 2 ori ai Giochi Arabi, a
Parigi ha voluto esserci ad ogni costo, nonostante il conflitto
scatenatosi dal 7 agosto gli abbia portato via tante persone
care. Oggi ha gareggiato con una bandiera palestinese tatuata
sul corpo, poi uscito dalle acque della piscina ha detto che "io
posso fare, e avrei il diritto di praticare, sport come chiunque
altro". "Sembro un ragazzino di Gaza -ha aggiunto - e vorrei
che, grazie allo sport, qualcuno ascoltasse quello che dico. Ma
a nessuno interessa quello che dice la gente in Palestina, però
questo è il mio messaggio di pace: 'per favore, trattate noi
come esseri umani, meritiamo gli stessi diritti di tutti gli
altri e vogliamo praticare sport come tutti gli altri'. Invece
qui vedo gente che si meraviglia della nostra presenza alle
Olimpiadi, e mi chiede come sia possibile che siamo qui se in
Palestina mancano perfino acqua e cibo". E in passato, ha
sottolineato, non sono mancati i problemi: "alle Olimpiadi non
succede - le parole di Al Bawwab -, ma in altre manifestazioni è
capitato che qualcuno, altri atleti, mi abbia detto di levarmi
la maglietta o di ammainare la nostra bandiera perché non
volevano vedere quella della Palestina". Lui non lo ha fatto, e
intanto continua anche a lavorare per SwimHope Palestine,
organizzazione che insegna ai bambini palestinesi 5-6 anni a
nuotare, "anche se in Palestina non c'è neppure una piscina, ma
l'importante è donare loro un sorriso".
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