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Tre anni di guerra, Putin ha spaccato l'Occidente

Tre anni di guerra, Putin ha spaccato l'Occidente

Dalla resistenza al fianco di Kiev alla giravolta di Trump

23 febbraio 2025, 11:40

di Mattia Bernardo Bagnoli

ANSACheck
Ucraina, terzo anniversario della guerra © ANSA/AFP

Ucraina, terzo anniversario della guerra © ANSA/AFP

Tre anni, sentirli tutti e anche di più. Il 24 febbraio 2022, in un pianeta ancora alle prese con gli strascichi della pandemia, Vladimir Putin invadeva l'Ucraina cambiando la traiettoria dell'Europa e dell'Occidente.

A Kiev, poco dopo l'alba, entrarono per la prima volta in funzione le sirene antiaeree, le stazioni della metro si trasformarono in rifugi, la guerra rigurgitò dai libri, dove gli europei pensavano di averla per sempre confinata. Il presidente Volodymyr Zelensky divenne leggenda spiegando ai leader che gli offrivano un salvacondotto: "Non mi serve un taxi ma armi per combattere".

Furono i giorni della gloria. Kiev non cadde, l'armata dello zar s'incagliò, Stati Uniti e Unione Europea si schierarono con Zelensky "fino in fondo". E iniziò un'altra guerra. Quella che, tra anni dopo, non si riesce a chiudere e che, oltre all'Ucraina, sta stravolgendo l'Occidente. Non c'è altro modo per definire la piroetta di Donald Trump: più che da leader del mondo libero si atteggia a líder maximo, terrorizza gli alleati sui social, sostanzialmente dà ragione ai russi e finisce per apostrofare Zelensky come un "dittatore", al quale intima di firmare l'accordo per svendere le terre rare (ultimi gioielli di famiglia di un Paese distrutto) o altro.

 

Colpo di scena nella trama, a dir poco. Il calcolo delle probabilità non è mai stato a favore dell'Ucraina - realtà scomoda a tratti sussurrata da alcuni protagonisti come l'ex capo di Stato Maggiore americano Mark Milley, grande scettico della reconquista totale - ma la speranza, nei giorni degli eroi, si era trasformata in qualcosa di più con il crollo delle linee russe nel Kharkiv e nel Kherson, la campagna nel Mar Nero, i bombardamenti mirati in Crimea, l'affondo nel Donbass, fino all'ingresso - molti mesi dopo - nel Kursk russo. Vladimir Putin dovette cambiare tattica e convertire la Russia all'economia di guerra, a tratti provato in volto, aggrappato al suo lungo tavolo - prigioniero di un eterno protocollo Covid - mentre al fronte si moriva (e si muore) come mosche, con i luogotenenti alla Yevgeny Prigozhin che si ammutinano e marciano su Mosca - sì, c'è stato anche questo, sebbene sembri un secolo fa. I grandi conflitti non seguono mai andamenti lineari. L'Ue ha reagito, da un lato, varando pesanti sanzioni alla Russia, trovando sistemi innovativi per aiutare l'Ucraina, sia militarmente che finanziariamente, congelando persino i beni della Banca centrale russa. Ma ha subìto, dall'altro, uno shock energetico che ha fatto impennare l'inflazione e messo a dura prova il suo modello economico - basato su manifattura ed esportazioni - con esisti ancora da calcolare.

Gli Usa hanno aperto i magazzini, fornito armi, e in ultima istanza hanno permesso all'Ucraina di giocarsela, sempre però ben attenti a non scivolare nello scontro diretto con Mosca, seguiti su questo dalla Germania. Kiev, a ben vedere, ha sempre combattuto con un braccio legato dietro alla schiena. E nelle trincee lungo lo snodo logistico di Pokrovsk, dove oggi si ammazza metro su metro, i soldati ti chiedevano: "Ma questa guerra è solo nostra o ci credete anche voi?". Perché le munizioni arrivavano - e arrivano - col contagocce mentre la Russia, oggi, produce ormai in tre mesi proiettili da 155 millimetri quanto la Nato intera in un anno.

E così, dopo un milione di morti e feriti tra russi e ucraini, si arriva ad oggi, ai giorni del potere. All'Ucraina è stato promesso di entrare nell'Alleanza Atlantica: non avverrà. L'Ue per Kiev ha avviato il processo di adesione: chissà quanto durerà, con lo spettro di un veto che affossa tutto (non c'è solo l'ungherese Viktor Orban ad avere dei dubbi). Il mantra di questi anni - "nulla sull'Ucraina senza l'Ucraina" - è stato cestinato in un post, con Trump che lancia i negoziati bilaterali coi russi, emarginando in un colpo solo Zelensky e l'Europa: ha fretta di chiudere, lo ha promesso in campagna elettorale, costi quel che costi.

"Una capitolazione forzata dell'Ucraina significherebbe una capitolazione dell'intera comunità occidentale, con tutte le conseguenze del caso", ha ammonito l'altro Donald, il premier polacco Tusk. "E che nessuno finga di non vederlo". Gli europei - con dentro Londra - cercano allora di far fronte comune, proporre delle garanzie di sicurezza sensate per rientrare al tavolo del negoziato, mettere mano al portafogli per spendere di più in difesa, sotto shock perché gli Usa minacciano il disimpegno dal continente. È vero, Trump sparge fake news, l'Europa ha dato più degli Usa per l'Ucraina - 145 miliardi di dollari - ma se si guarda al Pil totale dell'Ue, circa 20 trilioni, forse si poteva fare di più.

"Se ci fosse davvero il senso di urgenza, le risorse si troverebbero", profetizzava l'ex alto rappresentante Ue Josep Borrell. Ecco, la scudisciata di Trump magari non vien per nuocere, in un'Europa divisa tra est e ovest, nord e sud, con percezioni diverse del rischio nelle varie opinioni pubbliche (cavalcate in modo persino spregiudicato dalle forze politiche) e spazi di bilancio diseguali. Nel mentre l'Ucraina è sempre là, sotto le bombe, lei per prima alla ricerca di una pace che sia giusta, rispetto alla sua storia e ai sacrifici amarissimi compiuti negli ultimi anni, anche sulla base - ricordiamolo - di quanto l'Occidente ha detto e fatto: quella sirena, adesso, suona un po' pure per noi. 

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