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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
MARCO BALZANO, ''BAMBINO'' (EINAUDI,
pp. 224 - 19,00 euro) - Un libro aspro nel suo indagare il male,
quello della violenza e della ferocia legate allo squadrismo
fascista che ne garantisce l'impunità, come scopre Mattia
Gregori, detto Bambino per il suo viso liscio e senza barba. In
questo si potrebbe leggere il romanzo come esemplare vista la
situazione politica che viviamo oggi, le accuse di autoritarismo
e fascismo con cui mai si son fatti i conti, un'opera nata per
sottolineare, a chi prova a dimenticare o distorcere quel
passato, quale fosse la realtà di quel regime e della sua presa
del potere.
Bambino abusa persino della sua estrema situazione e, forte
della propria divisa e della fama acquisita col proprio agire
spietato, deruba metodicamente, intimidisce, abusa dei civili
più inermi e indifesi. Bisogna allora notare però che quel che
interessa farci scoprire allo scrittore è la psicologia del
protagonista, del violento e della sua ferocia in relazione alla
situazione storica, del rapporto col branco che dà un'identità e
protegge, che dona quella sensazione di ''onnipotenza che entra
nelle ossa'' e fa sentire al di sopra di ogni regola,
allontanando qualsiasi sentimento di umanità e pietà. Assieme
poi ricordiamo che il tema del fascismo violento e oppressore
analizzato nelle situazioni peculiari delle zone di confine è
proprio degli interessi di Balzano assieme a una poetica attenta
in particolare allo scontro tra diverse culture. Basti citare
almeno il successo del suo 'Resto qui', nella cinquina dello
Strega 2018, vincitore di diversi premi tra cui in Francia il
Prix Mediterranee, dove si narrava delle coercizioni con cui il
fascismo tentò di negare lingua e identità agli abitanti del sud
Tirolo, mentre 'Bambino' ora parla di Trieste e l'Istria sempre
durante il ventennio, dove i perseguitati diventano
all'improvviso gli slavi, i vicini di casa, le persone con cui
c'era antica convivenza pacifica.
Anche il giovane protagonista ha un amico del cuore, Ernesto,
che è slavo e lui, che non ha mai conosciuto la propria madre ed
è orfano della moglie del padre Tella che lo ha cresciuto, alla
madre di questo, Ksenija, è particolarmente legato. Eppure sarà
lui a diventare noto proprio come persecutore senza pietà di chi
usa quella ''lingua di merda da vietare'' del tutto, dalle
scuole alle chiese e sempre e comunque in pubblico,
guadagnandosi i gradi di Capomanipolo della Milizia a 25 anni.
Tra loro gira esasperato sperando di ritrovare sua madre, di cui
non sa nulla, nemmeno il nome, e questo è il suo dolore e la sua
spinta più profonda.
Tutta la sua vicenda, al di là della madre, ha un suo nodo
vitale dolce e aspro nel rapporto del protagonista col padre, un
anziano artigiano, apprezzato orologiaio che insegna la su arte
al figlio, rifiutandosi sempre di iscriversi al partito fascista
e per questo perseguitato, picchiato con la bottega distrutta,
proprio dai compagni, i camerati del suo Mattia, di cui si
vergogna profondamente ma è incapace di respingerlo quando gli
chiede aiuto. E poi l'amore impossibile, dato il suo passato e
la sua fama, per Gigliola, ''donna di cui non sapevo niente, che
mi aveva ridotto peggio del fronte'', la quale gli cede
strumentalmente prima di sparire con gli ebrei che sta
proteggendo, mentre i tedeschi hanno fatto di San Sabba un lager
con forni crematori, le cui ceneri i militari versano tutti i
giorni in mare.
Un impietoso ritratto di una realtà e della storia del nostro
paese, tra fascismo, squadrismo, guerra di Libia, delazioni,
borsa nera, liberazioni reali e illusorie va dal 1920, da 13
luglio di quell'anno quando, con tutti coloro che c'erano
dentro, fu incendiato dai fascisti, che impedirono anche ai
pompieri di intervenire, il Narodni Dom, la casa nazionale della
cultura slovena a Trieste (fatto che Renzo De Felice definì ''il
vero battesimo dello squadrismo organizzato''), sino al 1946,
quando la città è sotto il Governo Militare Alleato, dopo essere
stata occupata dai nazisti dal settembre 1943 al primo maggio
1945, quando liberarono la città le truppe partigiane jugoslave
del maresciallo Tito che spadroneggiarono per un anno,
vendicandosi degli orrori subiti con l'orrore delle foibe, le
profonde cavità naturali del Carso in cui i nemici venivano
gettati spesso ancora vivi. Con fascisti, nazisti e titini
Bambino è sempre pronto, pur di salvarsi, a fare il delatore, a
denunciare e tradire gli uni e gli altri, anche se Balzano, che
lascia implicito, senza mai esprimersi, il giudizio su ciò che
racconta, ci fa capire sin dall'inizio che il baratro di una
foiba incombe anche su di lui. ''Ho ucciso e fatto uccidere. Ho
sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono
sempre ritrovato dalla parte sbagliata''.
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