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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
WILLIAM GADDIS, ''LE PERIZIE'' (IL
SAGGIATORE, pp. 1225 - 34,00 euro - Traduzione di Vincenzo
Mantovani). Ci sono libri importanti, magari più impegnativi per
mole che difficili, che ogni tanto ritornano alla ricerca di
quell'attenzione e di un po' di successo che gli è sempre
mancato, magari sperando che quel che allora non si era capito
oggi sia visto come una preveggenza e affrontato con interesse.
E' quel che al saggiatore evidentemente sperano accada con ''Le
perizie'' di William Gaddis, romanzo sul tema del falso, sulla
menzogna in un mondo consumista, che ha appena ripubblicato
nella stessa esemplare traduzione di Vincenzo Mantovani
(scomparso un anno fa) a quasi 60 anni dalla prima edizione
italiana del 1967, che era in due volumi Mondadori per
complessive 1657 pagine, presentate in fascetta come ''La più
terribile galleria di falsi contemporanei''.
In America nel 1955, anno in cui uscì questo ''The
recognitions'', Fernanda Pivano ricorda che era subito diventato
un libro di culto tra gli scrittori, a lei segnalato da Alice
Toklas, e ''William Gaddis era diventato il Grande Maestro dei
postmoderni, soprattutto Thomas Pynchon e Don De Lillo. La sua
tecnica era allora del tutto insolita, usava strutture
frammentarie, parodia e satira, temi sociali, artistici e
culturali con conoscenza enciclopedica degli argomenti più
disparati con intrecci complicati come labirinti''. L'insuccesso
commerciale spinse l'autore trentenne al ritiro dalle scene,
evitando ogni apparizione per oltre vent'anni.
Si tratta di un libro sulle falsificazioni, che in questo
mondo di realtà virtuale, di ricreazioni dell'IA, fake news e
identità fasulle, acquista una nuova prospettiva ponendo la
questione (allora incentrata sull'arte) in modo complesso e
chiaro attraverso una narrazione ricca, articolata, colta e
piena di invenzioni, con uno sapiente stile virtuosistico,
mutevole secondo necessità. Non a caso si apre parlando di
maschere e mascherate e tutti i suoi protagonisti sono falsari,
da Wyatt Gwyon, figlio di un pastore protestante che si è
specializzato nella contraffazione di pittori fiamminghi a
Recktall Brown, mercante che li vende come veri, col supporto
del critico senza vergogna Crener, sino al fabbricante di monte
contraffatte Sinisterra (che ha una morte sulla coscienza
essendosi spacciato per medico senza esserlo) e un certo Yak che
invece spaccia mummie non meno finte alla folla di personaggi,
al mondo di persone che, raggirate, sperano invece avide nel
colpo grosso, in attesa di perizie che forse non arriveranno mai
o saranno false anch'esse.
E' il ritratto di una società in cui nulla è più come appare
e ognuno e ogni cosa cerca di apparire quel che non è, in cui
l'autentico non esiste più o almeno finisce per confondersi col
resto in un gioco di contraffazioni generale, oggettuale,
spirituale, culturale e metaforico. E una tale situazione di
sfrenate ambizioni e equivoci non può che dar vita a una realtà
che tende al noir, dove ognuno deve salvare se stesso,
inseguendo le proprie perversioni e follie, accontentandosi di
falsi valori, accecato dalle illusioni, tra amori complicati e
situazioni struggenti, tra delitti e infatuazioni, in una
continua tensione di rapporti e colpi di scena sorprendenti,
sullo sfondo di New York, Parigi, Madrid e Roma.
E' allora affascinante, per fare un esempio, la vicenda di
sorprese e ribaltamenti legata al dipinto 'Sette peccati
capitali' di Hirenymus Bosch, modello inarrivabile per Wyatt
che, aspirando all'autenticità, si scopre invece capace di poter
fare solo l'imitatore davanti all'originale, che conosce bene,
perché lo possiede suo padre, il quale, per trafugarlo negli
Usa, è riuscito a farlo passare per falso, ricordando come il
quadro sia esposto al museo del Prado, quello che in realtà lui
sa essere appunto il vero falso. Poi è intervenendo su un falso
Tiziano che se ne scoprirà casualmente sotto uno vero. Si
procede così in un gioco parodistico di scatole cinesi, di
apparenze, che riguarda anche plagi letterari e documenti
contraffatti, sosia e soldi fasulli.
Ben oltre mille pagine densissime, labirintiche e vive, ora
realistiche, ora venate di assurdo con una visione satirica e
parodistica, in cui è facile riconoscere quel che oggi si è
andato evolvendo attorno a noi e perdersi se si vuole inseguirà
e ricostruire una logica narrativa tradizionale che è appunto
anch'essa illusoria. Bisogna allora lasciarsi andare al flusso
della scrittura e farsene conquistare tra momenti di stile secco
e asciutto, incisivo, e altri ridondanti e manieristici che
cambiano col mutare delle situazioni. Un romanzo post-joyciano,
come spesso è stato definito, considerato oramai un classico
della letteratura americana di un autore, scomparso nel 1998 a
75 anni, di altri quattro libri sempre molto particolari per
struttura e contenuti, con una grande abilità nei dialoghi, nel
confronto dialettico, che hanno sempre come tema la confusione
morale contemporanea, il ritratto di un mondo allo sbando senza
più limiti, ma visto con occhi sempre più ironicamente caustici.
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