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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
RUGGERO CAPPUCCIO, ''LA PRINCIPESSA
DI LAMPEDUSA'' (FELTRINELLI, pp. 366 - 20,00 euro) - Un bel
romanzo su un'anziana nobildonna siciliana, Beatrice
Mestrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò principessa di Lampedusa
che il nove maggio 1943 torna a Palermo dal suo rifugio, nel
tempo di guerra, di capo d'Orlando e si confronta con le macerie
della città che viene continuamente bombardata per preparare lo
sbarco alleato. Certa che ''nessuna cosa al mondo sia
inanimata'' e nemmeno il suo palazzo, vi torna trovandolo
semicrollato e con buchi nel tetto: rovine che materialmente e
metaforicamente sono personali e soprattutto di classe, ma per
lei è quel che rimane dei suoi ricordi e della sua vita e il
luogo da cui pensare a una rinascita, specie per l'amatissimo
figlio, quel Giuseppe Tomasi che scriverà ''Il gattopardo''.
Ruggero Cappuccio, uno dei drammaturghi più interessanti
della sua generazione rivelatosi a inzio anni Novanta, autore
oramai anche di alcuni romanzi, torna a raccontare il suo amato
sud, la grandezza, la sua decadenza, i suoi guasti, questa volta
puntando sulla Sicilia, giocando sapientemente tra realtà
storica, leggende e fantasia dello scrittore che ha dimostrato
in più occasioni e testi di saper fondere e germogliare l'una
nell'altra sin da quello ''Shakespea Re di Napoli'' diventato
anche un film lo scorso anno.
Nasce così una avvincente figura di donna difficile da
dimenticare nella sua nobiltà vera, innanzitutto d'animo, la sua
indipendenza, la sua vitalità che la mettono al di sopra di
tutte le paure e le meschinità del momento e specie di
quell'altisonante aristocrazia borbonica siciliana che resterà
quasi sepolta sotto le bombe mentre nasce una Sicilia nuova,
popolare e anche al femminile. In quel disastro, partendo dal
detto siciliano ''chi vive per l'oggi non muore mai'', capisce
che è necessario chiudere col passato, e pensa di farlo alla
grande, come si confà al suo casato, e assieme tira fuori la
parte più vera e umana di se stessa in nome della propria
dignità, con la coscienza di accettare i cambiamenti, perché sa
bene che finita la guerra nulla sarà più eguale.
Con una bella lingua con citazioni in siciliano, a ribadire
il potere evocativo delle parole e il valore delle radici, un
vero e proprio romanzo, di piccoli e grandi avvenimenti, di
dialoghi e pensieri, con una sua leggerezza e assieme una
capacità di farsi leggere e avvincere in quel racconto
quotidiano e eccezionale, a partire dall'incontro casuale tra la
principessa e la giovane Eugenia, ragazza di famiglia borghese
(che non a caso ha finestre che guardano dentro Palazzo
Lampedusa) vessata da un padre che le impedisce di continuare i
suoi studi di fisica, volendo sposarla per suoi interessi e
legami con mafiosi. Beatrice le farà da madre e amica più
grande, la farà sue erede d'elezione e le indicherà la strada
per l'emancipazione e l'indipendenza, aiutandola a scoprire chi
sia, smettendola di lasciarsi andare e ''morire in vita''.
Momenti intimi si succedono a pagine teatrali e eventi dal
forte valore simbolico, come la vicenda del prezioso gioiello di
famiglia e soprattutto il gran ballo in maschera che Beatrice
organizza sotto le bombe per tutta la nobiltà palermitana nel
suo palazzo diroccato. ''Ecco la verità, appartengo a una classe
che per sopravvivere può soltanto mascherarsi'' e questo lei,
per sé, non lo accetta, non accetta di ridursi come gli altri,
che ''camminano nel deserto come Amleti dispersi'', incoscienti,
segnati nella maggioranza dalla ''stimmate della stupidità''. E
allora nessun rimpianto, ''che è un sentimento immobile
concentrato su ciò che non può tornare'', ma abbandonarsi alla
nostalgia, ''sentimento creativo, che guarda al passato soltanto
per far nascere una ricerca sull'accaduto, che serva per andare
avanti meglio che si può''.
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