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In evidenza
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(di Elisabetta Stefanelli)
MARCO MORRICONE E VALERIO CAPPELLI,
''ENNIO MORRICONE. IL GENIO, L'UOMO, IL PADRE'' (Prefazione di
Aldo Cazzullo. Dal 4 giugno per Sperling & Kupfer, pag. 257,
Euro 19.90).
''Forse la verità è che una parte della sua mente, ovunque
egli fosse, non smetteva mai di pensare in musica''. Una musica
che ''scava nell'anima di chi la ama e porta alla luce qualcosa
che resta''. Lo racconta Marco, il primogenito dei quattro figli
di Ennio Morricone - con Alessandra, Giovanni e Andrea - in un
libro che nasce da una serie di lunghe conversazioni con Valerio
Cappelli, giornalista e scrittore , che è diario, romanzo,
racconto inedito, pieno di arte e di umanità, la difficile
umanità di chi condivide la vita con un genio che a cinque anni
ti chiude davanti agli occhi la porta del suo studio.
Golosissimo di cioccolata, una giovinezza difficile, pur in
una famiglia borghese, studi che si erano dovuti interrompere
alla terza media, ed una fame da colmare accumulando oggetti.
Mangiava pochissimo Morricone, si sarebbe potuto vestire con un
saio, era ''maledettamente superstizioso''. Il suo primo impego
da archivista in Rai, alla fine degli anni Cinquanta durò solo
un giorno nonostante lo avesse ottenuto la moglie, assistente di
Fanfani, con una lettera di raccomandazione ''rubata'': ''se non
posso far suonare la mia musica che ci sto a fare qui?'' Solo
quello contava nella sua vita, una passione permeante,
totalizzante, assoluta.
Marco, che dopo la distanza dell'infanzia si mise a
disposizione del padre totalmente, dal 1995 fino al 2019 ''anno
dell'ultimo concerto a Lucca'', lo racconta così in prima
persona in questo libro a cuore aperto pieno di dettagli intimi
ed inediti. Costante la presenza della moglie, sua prima
consigliera, che se ne occupava cercando di metterlo in rapporto
con il mondo che lui disdegnava, come la tecnologia per esempio.
Non parlava nemmeno inglese, anche se a casa si intratteneva con
Warren Beatty, Brian De Palma, Barry Leninson. Tutti lo
cercavano sul cellulare di lei, come quella volta in cui chiamò
Mina che voleva fare un disco con lui ma non se ne fece nulla. È
un elenco di musica che nessuno potrà mai dimenticare del resto,
questo che il figlio Marco mette in fila parlando in queste
pagine, che fossero gli arrangiamenti da cui iniziò o le
immortali colonne sonore.
Musica che risuona ancora oggi nelle nostre orecchie ogni
giorno e che fece di quest'uomo schivo un gigante, una rock
star, conosciuta in tutto il mondo con fan giapponesi che lo
inseguivano, e persino un piccolo paese greco completamente
invaso dal suo volto nei murales sulle case. Le case, così
importanti nella vita di Morricone che lì, nel suo studio,
passava la maggior parte del tempo. Egoista al punto da portare
tutta la famiglia a Mentana, in una villetta sperduta nel nulla
della campagna, perchè comoda per lui che ne usciva solo per
andare alla Rcs: ma lì passavano Luis Bacalov, Morandi, Endrigo,
Lucio Dalla.
Lì un giorno si presentò anche Sergio Leone, erano stati
compagni di classe alle elementari e fu come se si ritrovassero
due bambini. Anche gelosi come quella volta che Leone mentì a
Kubrick per non far fare a Morricone la musica di Arancia
Meccanica. Ma quando morì lasciò un vuoto enorme nella vita di
Ennio Morricone. Un vuoto come quello che anche lui lasciò alla
sua scomparsa, nella sua famiglia. ''Cosa mi ha insegnato quel
grande solitario di mio padre? Se devo esprimermi in poche
parole, secondo il suo stile che è anche un po' il mio, direi il
rigore, la serietà, la sobrietà, l'onestà intellettuale, la
voglia di lavorare non tirandosi mai indietro e di mettersi
sempre in discussione''.
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