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In evidenza
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(di Paolo Petroni)
DARIO VOLTOLINI, ''INVERNALE''
(LA NAVE DI TESEO, pp. 140 - 17,00 euro) - Un bel libro, perché
ogni discorso è intrinseco e non esplicitato, sulla carne, sul
corpo, sul suo degenerare e essere mortale, sull'implacabile
procedere sempre della vita. E assieme, e anzi, prima di tutto
un libro su un uomo che con la carne e la sua mortalità ha
consuetudine e quell'uomo è Gino, il padre macellaio del
narratore che ce ne offre un ritratto solido e umanissimo,
seguendolo nel nascere e procedere della sua malattia sino alla
morte, che lo coglie mentre torna a casa in ambulanza. Un libro
che merita di essere nella dozzina del Premio Strega quindi.
Il nonno allora quasi accusa il nipote: ''E tu non eri neanche
là'', frase che inizia a scavare e scendere il lui, ''sento che
arriverà nel punto più intimo per finalmente detonare'', se non
fosse che una cugina che era in ambulanza gli dice che mentre il
padre moriva ha detto: ''Salutatemi Dario'' e questo ''blocca
l'ordigno... lo ferma lì, dove è tuttora, ma io ci sono
ancora''. Si era infatti negli anni Settanta e i cinquanta anni
passati hanno dato alla scrittura, al racconto una solidità, una
sfaccettatura e una luminosità da diamante.
Si vedano le prime, e poi le ultimissime pagine, nella loro
sostanziale diversità, come siano virtuosistiche, come sappiano
giocare e scegliere le parole e le costruzioni delle frasi, per
arrivare vive e vere, prima in una descrizione del lavoro del
padre al suo bancone al mercato, come sceglie, incide, taglia la
carne (''Lui sta dalla parte delle bestie. Anche se le ammazza.
Anche se le spolpa e le disossa. Anche se le trita, le apre, le
affetta. Le accoltella. Le spacca. Le caccia''), poi, infine,
come cerchi di riferire senza una sbavatura, una virgola in più,
le sue reazioni alla morte, al suo sentirla tra sentimenti e
fisicità. E' uno dei pochi momenti in cui l'io prevale, ché
altrimenti il racconto e sul padre, con la sua passione per il
calcio, che si farà metafora in più di un'occasione, e il
rapporto di lui col male, dal giorno in cui, quasi un presagio,
si taglia un dito, a quando inizia a sentirsi più stanco, al
momento in cui scopre una strana ghiandolina sul collo e inizia
un'odissea perché si riesca a fare una diagnosi. Eccolo allora
colto di spalle sul letto mentre cerca su un'enciclopedia di
capire di cosa si tratti.
Certo si parla di cure, dell'azione che si spera riesca a
fare la Vincristina, delle andate e i ritorni da Parigi, dove a
Villejuif c'è un centro all'avanguardia nella cura di quel tipo
di tumori, ma il tema è quello del tempo ''che scivola fuori
degli orologi'', dell'attesa, di un responso, di un effetto, di
un controllo, della fine. Il padre oramai è chiuso ''al centro
del suo globo'' (''E' un lago di pietra perpetua che si
intravede in un baleno di notte, à uno stato'') e la cosa appare
evidente il giorno del suo compleanno durante un pranzo
organizzato per festeggiarlo.
Anche il narratore, il padre oramai assente dal mercato, dà
una mano per quel poco che sa, lava per esempio la trippa
(''Sono alveari? Sono strisciature? Ci sono quelle retine che
sembrano merletti di Burano, hanno avuto una funzione negli
addomi degli animali''), si parla di interno e di esterno, di
quel che avviene nel corpo e si manifesta fuori mentre la
terapia procede e il padre torna a casa dalla Francia andando
veloce, senza togliersi il cappotto, al frigo a stappare una
bottiglia di rosso ''a dissetare, a rinfrescare la gola in
fiamme''.
Un racconto che tutto nella misura dell'intimità che rivela e
la qualità del tono di quel quotidiano che racconta, fuori
quindi da ogni sentimentalismo o retorica, di cui coglie
abitudini, cambiamenti, sentimenti tra i quali si insinua la
novità, riferiti con una lingua precisa, leggera e incisiva come
i coltelli del padre, capace di cesellare ripulendo e esporre
ogni particolare in questo 'invernale' diario a posteriori,
pieno di poesia.
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