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In evidenza
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(di Elisabetta Stefanelli)
FRANCESCA CAPPELLETTI, 'LE BELLE.
RITRATTI FEMMINILI NELLE STANZE DEL POTERE' (Mondadori, pag.
171, euro 21,00). Il ruolo delle donne, belle e potenti, nella
complessità della Roma del Seicento, crocevia di ricchezza e
povertà, religione e materia, raffinatezza dell'arte e sfarzo,
rettitudine e dissoluzione. Un ruolo ambiguo e articolato, molto
difficile da codificare, perché ad esempio ricche dame che non
mangiavano a tavola con gli uomini e non si potevano affacciare
alla finestra per non compromettere la loro reputazione, erano
costrette ad andare in sposa senza scelta, ma poi gestivano
patrimoni immensi, decidevano la sorte di interi stati. Tutto
questo racconta ''Le belle'' di Francesca Cappelletti, il libro
di una storica dell'arte che mette insieme competenza storica,
approfondimento delle dinamiche sociali e politiche, con una
strisciante ed importante lettura di analisi della disparità di
genere.
Il racconto della brava studiosa, direttrice della Galleria
Borghese di Roma, parte da una stanza del palazzo Chigi di
Ariccia, la stanza delle belle appunto, dove le pareti sono
tappezzate di ritratti di dame realizzati da un pittore di
origini olandesi, Jacob Ferdinand Voet, che a metà del Seicento
divenne a Roma un punto di riferimento imprescindibile per i
ritratti femminili dell'aristocrazia dell'Urbe che realizzava
nel suo studio e che ad un certo punto, per il sospetto traffico
di nobili fanciulle e cavalieri - forse sue amanti, forse no -,
fu costretto all'esilio. C'erano le donne più in vista
dell'epoca, come ad esempio le sorelle Maria ed Ortensia
Mancini, nipoti del cardinale Giulio Mazzarino, portate in
Francia per andare vantaggiosamente spose, che poi
imperversarono alla corte di Luigi XIV. Ma all'origine di questa
curiosa stanza di impeccabili dame vestite di tutto punto, nei
loro abiti sontuosi e adornate dei loro sfarzosi gioielli, c'era
la consuetudine di quasi un secolo prima, verso la fine del
Cinquecento, di allestire nei palazzi del potere le cosiddette
stanze delle Veneri come nella collezione Pamphili. Erano stanze
privatissime dove le dame - non si sa quanto in maniera
consenziente - venivano ritratte tra il mitologico e l'erotico,
con pochi abiti o del tutto nude, dai più grandi pittori, come
Tiziano o Carracci. Capolavori che poi sono diventati parte di
collezioni di personaggi di primo piano come i Farnese, il
cardinale Aldobrandini, o che si ritrovano anche nella stessa
Galleria Borghese. Ma questo libro non parla solo di storia
dell'arte, parla di donne ritratte che hanno fatto la storia
come Clelia Farnese o le due potenti Olimpie, la Maidalchini e
la Aldobrandini, di donne artiste come Lavinia Fontana o
Artemisia Gentileschi e delle loro battaglie per affermarsi tra
maldicenze, processi, prevaricazioni.
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