(di Chiara Venuto)
AMELIA C., VIGLIACCHI! - IL MIO
J'ACCUSE AL MONDO DEGLI ADULTI (AGENZIA X, PP. 138, EURO 12)
Non c'è nulla di più scontato di un adolescente arrabbiato. Il
modo in cui dimostra di esserlo, però, non è mai banale. Amelia
C., 17 anni, ha scelto di farlo attrverso un libro,
'Vigliacchi!", in uscita il 4 ottobre per Agenzia X. In 138
pagine, raccoglie quello che la giovane definisce un "j'accuse
al mondo degli adulti".
Probabilmente l'ultima teenager a usare l'anonimato per
pubblicare un libro è stata Melissa P. con i suoi '100 colpi di
spazzola prima di andare a dormire'. Un innegabile cult della
nostra letteratura. Era il 2003, e Amelia C. non era ancora
nata. È dunque scontato che, già solo per la differenza
generazionale, il libro della classe 2007 sia diverso. Non è un
romanzo, anzitutto. È una sorta di lettera, ma non un diario. E
non ha nulla di erotico, anche se in un capitolo discute di
sessualità. Dell'adolescenza, però, ha tutto: i temi, il
turpiloquio, lo sguardo al futuro, la presunzione di dire "mai",
la legittima saccenza dell'età. Cose a cui si aggiunge una gran
voglia di prendersela con i "grandi", gli adulti o, almeno,
quelli che Amelia accusa di non capirla per via di una "profonda
inconciliabilità". Anche se a loro ribadisce che il mondo non è
bianco e nero, lei incorre nel loro stesso errore, non tanto
perché generalizza i comportamenti, quanto perché non si rende
conto che ormai nel mondo degli adulti rientrano tanti nativi
digitali.
Al di là di questo - un libro di un'adolescente è già di per
sé un successo, anzi, dev'essere imperfetto - Amelia riesce a
scrivere un manifesto di ciò che vuole diventare, ammettendo che
non tutti coloro che hanno 17 anni si sentono come lei. "Vorrei
essere parte di quella schiera che sovvertirà il mondo - scrive
- un gruppo minoritario, ma vincente". Elabora le sue idee, cita
Platone, dimostra di avere anche una certa cultura che non è
solo figlia del suo liceo classico. E rinfaccia di tutto alla
generazione dei suoi genitori, alternando impeti di rabbia a
momenti in cui ammette che "possiamo ancora dialogare".
Con una penna per nulla pomposa (in barba alle abitudini
scolastiche), Amelia snocciola teorie, spiega che gli adulti
sono quelli che fanno più danni con la tecnologia ma si
preoccupano tanto per i giovani al cellulare, si lamenta di ciò
che propone il tg (le "esternazioni del ministro Valditara" e i
"Måneskin che conquistano il Messico"), soffre all'idea
dell'appiattimento dell'opinione pubblica rispetto alle guerre.
Non ha paura, giustamente, di dire la sua sulla politica e la
situazione in Medioriente, passando pure dalle migrazioni: "noi
siamo già mischiati - ricorda - I nomi dei miei compagni di
scuola sono misti. Nessuno di noi ci fa caso". E si lascia
andare anche a un umorismo condivisibile: "parlate come gli
attori delle fiction televisive italiane - è il suo rimprovero
- Siete un misto tra il milanese imbruttito e Recalcati".
Amelia, insomma, scrive un libro che possono leggere i
giovani (per condividere o meno le sue idee ed emozioni) e gli
adulti (per cercare di capirci qualcosa dei primi). In mezzo a
tutta la rabbia, tira fuori opinioni che sono lo specchio del
suo tempo ma che meriterebbero un approfondimento, se non un
confronto. E forse proprio per questo, alla fine del j'accuse,
la cosa più triste di tutte è il non poter rispondere.
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