MASSIMILIANO COCCIA, SAPRO' DIRE
IL TUO NOME (INDUSTRIA & LETTERATURA, PP. 56, EURO 10). Trenta
poesie e una ricerca, come recita il sottotitolo del libro,
rappresentano la scelta inusuale di Massimiliano Coccia di
raccontare luoghi, emozioni, quasi fermandole nel tempo e nello
spazio. Con "Saprò dire il tuo nome" Coccia, giornalista de
Linkiesta basato a Bruxelles e già autore di "Amen", ha scelto
di cambiare totalmente genere addentrandosi con i suoi versi, in
una Roma spesso estiva e torrida, che ha fatto spesso da
scenografia in passato al suo lavoro di cronista giudiziario.
È la Roma degli spacciatori, dei criminali, delle antichità
rimaste come vestigia di un passato che non tornerà. Non c'è una
ricerca di consolazione o innamoramento per il disagio semmai la
presa d'atto di una non comunicabilità ormai irreversibile. Per
l'autore la poesia sembra rivestire la stessa funzione che ebbe
per Carlo Emilio Gadda di "plasma germinativo" come primo
sguardo sulle cose da raccontare. "Ci stringiamo/ tra ossa
rotte/ dentro un buio d'ottobre dentro una domenica/ di pace/ di
un sole giovane/ in cui mi parli/ in cui mi ascolti
in cui capiamo/ l'inganno raccontato/che per essere amore/si
deve solo patire", scrive Coccia in una delle sue poesie. La
scelta del teatro di posa di questi versi è il Verano, il
cimitero dei romani, "i vivi e i morti" sembrano dialogare tra
queste pagine in cui l'amore arriva come un'amnistia.
Se infatti per i poeti degli anni '90 il sentimento è un
orpello problematico per Coccia è un approdo, riprendendo così
un tema poetico utilizzato da Primo Levi e poi dismesso nel
corso dei decenni. "Di poeti simili ne ha bisogno il nostro
panorama, di voci libere, sincere", scrive nella prefazione
Daniele Mencarelli.
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