VANNI CODELUPPI, LA MORTE DELLA
CULTURA DI MASSA (CAROCCI, PP. 116, EURO 13) Culto del banale,
'marvelizzazione', serie tv a iosa, piattaforme e streaming
domestico, elementi della società odierna, passata al setaccio
dal sociologo Vanni Codeluppi ne La morte della cultura di
massa, saggio edito da Carocci. Se i primi cenni di cultura di
massa s'intravedono già nell'Ottocento con romanzi come "La
capanna dello zio Tom" di Harriet Beecher Stowe e "Ben Hur" di
Lew Wallace, oggi la cultura di massa si è estinta per lasciar
posto a un qualcosa di più frammentato: una cultura smembrata
"in subculture di vario genere", fa sapere lo studioso. Come
afferma il filosofo Byng-Chul Han, si sta diffondendo una
"ipercultura", un nuovo tipo di cultura globale che "non produce
omogeneità, bensì intensità e varietà". Non ci sono distanze e
quindi tutto si addensa, si accalcano contenuti variegati. I
tempi in cui viviamo, osserva Codeluppi, sono pervasi inoltre da
un "atteggiamento ludico: "Una ricerca effettuata negli Stati
Uniti ha mostrato che i giovani della Generazione Z, cioè quelli
nati tra il 1997 e il 2012, trascorrono più tempo a giocare ai
videogiochi che a incontrare di persona i loro coetanei",
spiega. Nel mondo utilizzano i videogiochi "più di 3 miliardi di
persone, appartenenti a diverse fasce d'età, mentre in Italia
questi giocatori corrispondono a circa l'80% di tutti gli utenti
di Internet". Si fa "ricorso a processi di gamification", ovvero
premi, ricompense, accumulo di punti, classifiche, anche
"all'interno di contesti di differente natura", dal marketing,
all'educazione, allo sport per "influenzare i comportamenti
delle persone e migliorarne la motivazione e il coinvolgimento".
Quanto al cinema, captare l'interesse, e quindi riempire le
sale, è ciò che ha spinto, l'industria hollywoodiana, a puntare
sui supereroi che fanno la parte del leone ai botteghini:"Le
proposte cinematografiche della Marvel hanno richiamato il
pubblico sfruttando l'abitudine alla serialità creata dal
successo ottenuto da numerose serie televisive a partire dalla
fine degli anni Novanta. Inoltre, i progressi della tecnologia
digitale relativi agli effetti visivi hanno reso per la prima
volta trasferibili al cinema e soprattutto credibili anche le
più sorprendenti azioni compiute dai supereroi nelle tavole dei
fumetti". Per quel che riguarda la tv, nei programmi spopola "il
culto del banale" ovvero la piccola realtà di tutti i giorni e
Codeluppi ricorda che la storia dei reality nasce "già nel 1992
con The Real World della rete Mtv, un programma basato sulla
vita quotidiana di sette giovani che condividevano lo stesso
appartamento".
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