LIVIO ZERBINI, COMMODO (SALERNO
EDITRICE, PP. 224, EURO 20)
Lusso, vizi, nefandezze di ogni sorta, 'goloso e impudico',
di Commodo così parla la storiografia antica. La vita
dell'imperatore, appena diciannovenne quando salì al trono, ha
il sapore di un romanzo pulp, con scene da Grand Guignol. Nella
Storia Augusta si dice che "fece squarciare a mezzo la pancia a
un grassone, perché ne uscissero fuori in un momento tutte le
budella" e che "si fece servire su di un vassoio d'argento due
gobbi contorti dopo averli fatti cospargere di senape". Amante
dei piaceri, sempre immerso "in voluttuose mollezze",
appassionato di giochi gladiatori, "organizzò pubblici
spettacoli, impegnandosi a uccidere tutte le fiere di sua mano",
tramanda Erodiano.
Il principato di Commodo terminò il 31 dicembre del 192 d.C:
"una congiura ordita dalla sua concubina preferita Marcia, dal
suo cubiculario Ecletto e dal prefetto del pretorio Quinto
Emilio Leto segnò la fine dell'imperatore, che venne strangolato
dall'atleta Narcisso. Subito dopo il senato lo dichiarò nemico
pubblico e ne decretò la damnatio memoriae", racconta Livio
Zerbini, docente di Storia romana all'Università di Ferrara, in
questo saggio uscito per Salerno Editrice.
Il testo traccia un ritratto completo dell'imperatore figlio
di Marco Aurelio. Il libro, spiega l'autore, nasce perché "su
Commodo, l'ultimo imperatore della dinastia degli Antonini, vi
sono poche biografie" e quindi l'intento è quello "di colmare un
vuoto". Commodo non era tanto "debole di carattere e indolente
come gli autori antichi tendono a rappresentarlo".
Attratto dai culti orientali, Commodo "ebbe sin dagli anni
dell'adolescenza una particolare predilezione per Ercole, che
simboleggiava la forza brutale, armato, secondo la tradizionale
iconografia greca e romana, della clava e protetto dalla pelle
del leone di Nemea, che lo rendeva invincibile". Infatti il
giovane imperatore è così rappresentato nel celebre busto
conservato ai Musei Capitolini.
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