(di Angela Majoli)
L'arresto di Cecilia Sala "crea in me
un grande senso di oltraggio", dice preoccupata all'ANSA Azar
Nafisi, la scrittrice iraniana di Leggere Lolita a Teheran,
bestseller mondiale del 2007 (edito in Italia da Adelphi), da
poco approdato al cinema con il film di Eran Riklis, in concorso
all'ultima Festa di Roma. Dal 1997 vive negli Stati Uniti, dove
ha insegnato letteratura inglese alla John Hopkins University di
Washington, ma resta un'osservatrice attenta delle dinamiche del
suo paese di origine.
"Il regime iraniano cattura ostaggi stranieri solo per
ottenere qualcosa in cambio", riflette Nafisi, nata a Teheran 69
anni fa, che fino all'ultimo Leggere pericolosamente (Adelphi)
ha composto con le sue opere una sorta di autobiografia che
gravita intorno al potere dei libri. Al momento contro la
giornalista italiana non sono state formalizzate accuse: "Se la
repubblica islamica avesse avuto capi di imputazione, li avrebbe
annunciati: si tratta di una condotta illegale anche dal punto
di vista delle leggi dello Stato. È sicuramente una forma di
censura", avverte la scrittrice, convinta che "prima o poi,
ragionevolmente, inventeranno un'accusa e istruiranno un
processo. Di solito, i giornalisti sono accusati di essere delle
spie, ma dobbiamo aspettare le prossime mosse".
Nafisi non esclude che l'arresto di Cecilia Sala possa essere
in qualche modo legato a quello di Mohammad Abedini Najafabadi,
il cittadino iraniano bloccato il 16 dicembre scorso su ordine
della giustizia americana all'aeroporto milanese di Malpensa,
"ma non dimentichiamo - sottolinea - che Cecilia è una donna, è
una giornalista e dice la verità e per il regime raccontare i
fatti è un problema. Le condotte estreme e repressive non sono
espressamente previste dalla legge islamica, perciò il governo
non vuole che vengano raccontate. E questo è sintomo di
debolezza, non di forza".
La gente iraniana, invece, "è forte: come Martin Luther King
e come Mandela porterà avanti la sua rivoluzione senza incitare
mai alla violenza. Mia nonna era contraria alla poligamia e al
matrimonio 'under age', mia madre non ha mai indossato il velo,
eppure entrambe si professano musulmane. Peraltro il mondo è
pieno di musulmani laici e non violenti. Il problema non è
diventare anti-religiosi, ma combattere l'autocrazia e la
teocrazia", sottolinea ancora.
In Iran c'è comunque "una grande empatia verso il caso di
Cecilia: ho parlato come una mia amica - racconta Nafisi - e mi
ha detto che la chiamano 'our sister', nostra sorella". Per il
trattamento in carcere "è importante che si mobilitino le
organizzazioni internazionali" e per la liberazione "è
fondamentale la pressione del governo italiano e americano:
devono far capire al regime che in ballo c'è un prezzo alto da
pagare".
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