"Penso davvero che ci sia bisogno di scrivere di malattia, di cura, perché non c'è niente di straordinario o eccezionale, è un pezzo di normalità che ci accomuna molto più di quanto lo faccia la foto che si pubblica in vacanza. Troppo spesso la malattia è avvolta da un velo di vergogna, trattata come un tabù di cui non si deve parlare per non impressionare gli altri". Paola è una dei 'B.Liver', ragazzi affetti da patologie gravi e croniche e autori del mensile "Bullone", realizzato insieme a illustratori e giornalisti professionisti. Ricorda di aver superato un linfoma di Hodgkin, una tipologia di tumore molto curabile, ma anche di aver faticato per un po' di tempo ad accettare la patologia.
"Quando ho scoperto che questo tipo di tumore non ha una causa identificabile, non è ereditario né correlato allo stile di vita - rammenta sull'ultimo numero del mensile - mi sono sentita come se fossi stata relegata a una statistica, una casualità. La mia prima reazione è stata chiedermi perché proprio a me, ma poi questo ha contribuito a facilitare il processo di accettazione. La seconda cosa che ho pensato è stata: com'è possibile che dopo una notizia del genere le cose possano rimanere tutte uguali? Erano i primi giorni di primavera e il mondo fuori strideva completamente con quello che stavo vivendo dentro". "Ero molto spaventata: mi trovavo in una città - continua Paola - dove non avevo neanche una casa, lontana dal mio lavoro (a Dublino), ma anche dalla mia famiglia (a Caltanissetta). Ho dovuto tagliare i miei capelli lunghissimi perché dicevano che così ci sarebbero state molte meno possibilità di perderli. Ho visto il mio corpo trasformarsi, diventare lento e stanco e tradirmi in modi che non avrei mai immaginato. Insomma, nel giro di un paio di mesi la mia vita ha assunto forme impreviste e spaventose".
In questa situazione, tiene a sottolineare Paola, "persone incredibili mi sono state vicine in modi che neanche credevo possibili, evidenziando quanto le pratiche di cura possano rispecchiare la complessità delle relazioni umane". "Io ho avuto il privilegio - racconta - di avere amici che a turno mi hanno fatto compagnia per le sedute di terapia, mi hanno aiutata con i traslochi, mi hanno ospitata e prestato casa, ma anche e soprattutto, con cui sono stata capace di condividere un sacco di gioia e amore, belle letture e momenti spensierati, nonostante il periodo. Sembra pazzesco, infatti, ma in quell'anno sono successe anche tante cose belle. Un po' come scrive Michela Murgia in Tre ciotole, di fronte al cambiamento a ognuno di noi sta la possibilità di trovare nutrimento in nuovi riti, risorse di sopravvivenza che non pensavamo di possedere".
"Davanti alla vita delle persone che andava avanti - osserva - io mi sentivo bloccata in una situazione spaventosa in cui mi ero trovata all'improvviso, incapace di pensare ad altro, se non a tutte le opportunità che stavo perdendo in quel momento. A un certo punto, non so nemmeno quando esattamente, forse in uno di quei giorni di frustrazione in cui non riuscivo a pensare chiaramente o a lavorare come avrei voluto, ho accettato che fermarsi è normale, così come lo è 'essere improduttivi'. Sentirsi in colpa, invece, è un risultato del sistema in cui viviamo e dobbiamo fare un costante esercizio per liberarci da questa mentalità".
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