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Monte di Pietà, le sale del dolore e dell'avidità umana

Monte di Pietà, le sale del dolore e dell'avidità umana

Alla Fondazione Prada Venezia progetto di Christoph Buchel

VENEZIA, 19 aprile 2024, 18:55

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

Le sale della sofferenza, del distacco dalle cose care per bisogno, per una guerra, una malattia. Gli spazi dell'avidità, della ricerca effimera della ricchezza ottenuta avuta o persa ai tavoli da gioco, con un investimento sbagliato sull'onda dell'immaterialità digitale. Le stanze dell'accumulo compulsivo di oggetti. Quante vite, quante tragedie, quante gioie perdute, possono raccontare le migliaia e migliaia di cose portate, depositate sugli scaffali di un Monte di Pietà? Quante storie potrebbero raccontare l'infinità di oggetti che danno vita a "Monte di Pietà", alla Fondazione Prada, un progetto dell'artista Christoph Buchel, dal 20 aprile al 24 novembre.
    L'artista svizzero, protagonista nel corso di una passata Biennale d'Arte della realizzazione di una installazione-moschea all'interno di una chiesa sconsacrata, è partito dalla storia stessa del Palazzo, sede del Monte di Pietà dal 1834 al 1969, per dare vita a una sorta di "wunderkammer" dell'anima e del dolore. Questo, attraverso una sequenza, apparentemente casuale, di tracce attinenti alla realtà di vita quotidiana, senza distinzioni tra ricchi e poveri, unite dal passaggio di questi oggetti da dimensioni "casalinghe" a scaffali "collettivi".
    Migliaia di elementi tenuti insieme dal concetto di "debito". A pianoterra, dopo la stanza dell'accumulatore seriale - uno scantinato dove c'è di tutto alla rinfusa - il percorso espositivo prevede uno sviluppo quasi storico-documentaristico riguardo alle caratteristiche e funzioni del Monte di Pietà, con i documenti o le sedie per le aste. Al mezzanino si entra in una dimensione più cupa. Ci sono le stanze con i tavoli da gioco, della dea bendata che non fa differenze tra chi ha e chi tenta la sorte. Letti, tavole imbandite i resti di notti forse passate insonni. Subito dopo, si entra nel contemporaneo: irrompono il digitale, la moneta elettronica, i canali social: il mondo in sostanza dove sono labili i confini tra realtà ed apparenza. Al primo piano del palazzo, il salone centrale è una sequenza di oggetti di vario genere. Ci sono bambole, chitarre, mappamondi, moto, manifesti compro-oro, lavatrici, canoe, reperti bellici, remi, mappe, libri, abiti, brocche per l'acqua o il vino, quadri, monete e tanto altro. Inutile cercare didascalie o tentare di tenere a mente la massa quanto presente. Ci sono dipinti di scarsissimo valore mischiati a un Tiziano, un Warhol.
    C'è l'opera concepita da Bucher come una valigia contenente diamanti concepiti in laboratorio, The diamond Maker.
    I diamanti - spiega una nota - sono il risultato di un processo fisico e simbolico di distruzione e trasformazione dell'intero corpus di opere in possesso dell'artista, comprese quelle dell'infanzia o non ancora realizzate. A ogni visitatore sembra essere lasciato il compito di tracciare una linea di possibile separazione tra ricchezza reale e artificiale. A chi si aggira tra i banchi in legno ricostruiti del vecchio Monte o tra le scrivanie con computer, riviste, libri, appunti, che parlano di cose reali legate a opere o altri beni, è lasciato l'onere e il piacere di interrogarsi sui valori della proprietà, della finanza. 
   

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