In un significativo passo avanti nella comprensione dei processi e dei meccanismi alla base della caldera dei Campi Flegrei, è stata svelata la complessa chimica delle acque sotterranee, che possiedono caratteristiche diverse a seconda delle zone e dei percorsi seguiti nel sottosuolo: queste informazioni sono fondamentali per poter interpretare i cambiamenti futuri e per riconoscere eventuali segnali di ripresa dell’attività vulcanica. Il risultato, pubblicato sul Journal of Volcanology and Geothermal Research, si deve allo studio guidato dall’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca, l’Università di Palermo e l’Università Federico II di Napoli.
I ricercatori guidati da Stefano Caliro hanno analizzato 114 campioni di acque raccolti tra il 2013 e il 2014. “Il lavoro rappresenta il primo studio esaustivo sulla geochimica della falda flegrea a partire dal 2005, data di inizio dell'attuale crisi bradisismica – afferma Caliro – e ha permesso di riconoscere i complessi processi che controllano le differenti caratteristiche delle acque”.
I risultati mostrano la grande variabilità nella composizione delle acque sotterranee all'interno della caldera. Nei Campi Flegrei coesistono, infatti, acque fredde di origine meteorica, arrivate cioè con la pioggia, acque termali che si formano in seguito all’interazione con i gas vulcanici, acque derivate da soluzioni saline ad alta temperatura e, infine, acque sotterranee dell'area Solfatara-Pisciarelli, dove gioca un ruolo determinante la condensazione di vapore ricco di zolfo.
“I risultati di questo studio hanno permesso di progettare e realizzare una rete permanente di monitoraggio delle acque nella caldera – dice Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano e co-autore dello studio – attiva dal 2018 e in continua evoluzione”.
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