Che cos’è la leucoplachia?
Una lesione tipica del cavo orale, che interessa soprattutto la superficie della lingua e le mucose interne delle labbra e delle guance.
Come si presenta?
Una macchia di colore prevalentemente bianco, con sfumature di rosa e di rosso all’interno della lesione.
E’ frequente?
La sua prevalenza stimata nei paesi europei è intorno all’1.2%, mentre si attesta a livello mondiale attorno al 4%. Nonostante la sua incidenza, non è un fenomeno da sottovalutare: la leucoplachia è infatti una condizione che rientra tra i “disordini orali potenzialmente maligni del cavo orale”. Questo significa che, se non viene individuata e curata prontamente, può evolvere in una forma maligna di tumore.
Come me ne accorgo?
Individuare una lesione del cavo orale non è semplice: questa si presenta infatti generalmente in forma asintomatica. Per questo è essenziale la figura dell’odontoiatra e il concetto di prevenzione: spesso la leucoplachia viene identificata soltanto casualmente, durante visite di controllo o sedute di igiene dentale.
Si riconosce per alcune caratteristiche essenziali: non può essere rimossa con una semplice garza o per sfregamento, non è direttamente correlata a fattori traumatici e, se legata a un trauma, non scompare in seguito all’eliminazione del trauma. Le stesse caratteristiche, in realtà, si riscontrano anche in altri casi “benigni”: si possono trovare lesioni di questo tipo nel cavo orale anche per patologie non gravi, condizioni infiammatorie o infettive facilmente curabili, o anche per semplici traumi della mucosa contro strutture dure (protesi, apparecchi ortodontici, talvolta gli stessi denti!).
In questi casi avremo delle lesioni “bianche”, definite tecnicamente ipercheratosi frizionali: nonostante possano allarmare il paziente e vadano curate, non presentano alcun rischio di trasformazione maligna. È compito dell’odontoiatra, allora, distinguere queste lesioni dalla leucoplachia.
La diagnosi si effettua tramite biopsia, ovvero tramite il prelievo di una porzione di tessuto affetto da lesione, che viene eseguita sia negli studi odontoiatrici che in centri ospedalieri specializzati. In quel caso, lo specialista è il cosiddetto medico orale o patologo orale.
Come già detto, la leucoplachia si presenta generalmente senza sintomi, non causando alcun tipo di deficit funzionale. Il suo trattamento quindi ha come obiettivo quello di
prevenire, ridurre o eliminare il rischio di trasformazione neoplastica. Difficile dire con quanta frequenza questo tipo di lesione si trasformi in cancro orale: gli studi disponibili riportano una variabilità impressionante, dall’1 al 40%.
Esistono ovviamente dei fattori di rischio legati alla comparsa di leucoplachia, primi fra tutti l’abuso di alcol e fumo. In particolare, si è visto che l’astinenza dal fumo può addirittura portare alla regressione – se non alla scomparsa – della lesione. Le caratteristiche associate a un più alto rischio di trasformazione sono poi il sesso (le donne sembrano essere maggiormente esposte), l’età (soggetti over 60), le dimensioni della lesione e la sua localizzazione (le sedi dove il carcinoma orale è più frequente sono il bordo e il ventre della lingua, seguite dal pavimento della bocca e dalla guancia).
Va detto però che i giovani, apparentemente meno colpiti dal rischio di insorgenza tumorale, presentano anche un maggiore tempo di esposizione al rischio di trasformazione. Si capisce allora quale ruolo abbia la prevenzione, che passa per l’eliminazione o la riduzione dei fattori di rischio e l’assoluta importanza di controlli periodici.
Ma una volta individuata, come si cura?
Esistono diversi approcci terapeutici per la leucoplachia: un primo è quello dell’escissione chirurgica. Questo tipo di trattamento, che resta la prima scelta di molti specialisti, è quello più radicale e si basa sull’idea che eliminare la lesione possa eliminare il rischio di tumore. Sfortunatamente però si tratta di un approccio invasivo, che non sempre è possibile e non è risolutivo nella totalità dei casi. Un altro trattamento è quello non chirurgico, ovvero il ricorso a farmaci assunti per via orale o applicati localmente. Ad oggi, nessuno dei trattamenti proposti ha un’efficacia comprovata scientificamente.
La parola chiave resta allora prevenzione: una volta diagnosticata la lesione, è necessaria una sorveglianza attiva delle condizioni orali del paziente, spesso anche a tempo indeterminato. Unita a una comunicazione efficace sulla natura della patologia e sui rischi ad essa associati e a un’alleanza medico-paziente: condizione essenziale per la cura e la pianificazione dei trattamenti.
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