L'endometriosi è una patologia infiammatoria cronica che colpisce fino al 10% delle donne i cui meccanismi sono tuttora oggetto di ricerca scientifica. La dismenorrea dell'adolescente, ovvero i dolori associati al ciclo mestruale, è il principale campanello di allarme per lesioni endometriali ma, ad oggi, si registra ancora un ritardo medio di 6 anni nella diagnosi. Lo sottolinea Flaminia Coluzzi, docente di Anestesiologia e Terapia del Dolore presso l'Università Sapienza di Roma-Azienda Ospedaliera Universitaria Sant'Andrea, in occasione della Giornata mondiale dell'Endometriosi che si celebra il 28 marzo.
Il dolore da endometriosi si manifesta durante e tra i cicli mestruali, nei rapporti sessuali, nell'evacuazione e spesso si associa a disturbi gastroenterici.
"Nonostante il dolore sia la principale causa per cui una donna in età fertile si rivolge al proprio medico curante, il ritardo diagnostico medio tra l'esordio dei sintomi e la diagnosi di endometriosi è stato stimato in oltre 6 anni. Per molte donne, ancora oggi, è ritenuto normale provare dolore, anche quando l'intensità è così elevata da non consentire una vita normale", afferma Coluzzi. La presenza di giovani donne negli ambulatori di medicina del dolore è un segnale di questo ritardo diagnostico. Quando l'endometriosi sfocia in un dolore pelvico cronico, diviene certamente più difficile da trattare.
Pur essendo la terapia ormonale certamente la prima linea di trattamento, spiega l'esperta, "negli ultimi anni è incrementata l'attenzione sul ruolo della neuroinfiammazione a livello periferico e nel sistema nervoso centrale. Le variazioni ormonali che si verificano nel ciclo ovarico determinano fisiologicamente fenomeni infiammatori e conseguente dolore pelvico ciclico, noto come dismenorrea primaria, trattato efficacemente con i comuni analgesici. Tuttavia a livello pelvico sono presenti anche cellule della nostra immunità innata, note come mastociti, che fisiologicamente proteggono il nostro sistema nervoso, ma quando iperattivate, possono determinare fenomeni patologici di sensibilizzazione centrale, con la conseguenza che i segnali provenienti dalle strutture pelviche vengono amplificati. Questo fenomeno, noto come neuroinfiammazione, è alla base dell'evoluzione verso il dolore pelvico cronico".
Recenti studi, chiarisce, "hanno dimostrato che la mestruazione retrograda, cioè detriti di tessuto endometriale che invece di fuoriuscire verso l'esterno tornano indietro lungo le tube e si depositano nello scavo pelvico, rappresenta un potente stimolo alla degranulazione dei mastociti e alla liberazione di citochine proinfiammatorie, che sensibilizzano le strutture nervose in periferia e causano neuroinfiammazione".
In età adolescenziale il dolore pelvico, avverte Colizzi, "non va sottovalutato, soprattutto quando compromette le normali attività quotidiane. Controllare tempestivamente la neuroinfiammazione consente di ridurre il rischio di dolore pelvico cronico in età adulta". Questo è possibile, conclude, "utilizzando molecole note come ALIAmidi, che riportano i livelli di neuroinfiammazione al ruolo fisiologico protettivo per l'organismo. Le nostri pazienti hanno diritto a un trattamento che le aiuti a spegnere il fuoco della neuroinfiammazione, per ritrovare una qualità di vita ottimale".
Endometriosi colpisce circa 3 milioni di donne in Italia, nel 30% dei casi provoca problemi di infertilità
la Società Italiana della Riproduzione Umana (SIRU) lancia un monito: è fondamentale aumentare la sensibilizzazione e la consapevolezza riguardo questa complessa patologia che interessa tra il 5% e il 10% delle donne in età riproduttiva, coinvolgendo circa 3 milioni di donne in Italia, e che nel 30% dei casi provoca problemi di infertilità.
Nonostante l'importante impatto che questa condizione ha sulla vita delle donne e sui costi sociali ad essa associati, la ricerca sull'endometriosi riceve finanziamenti insufficienti. Secondo recenti indagini, la Comunità Europea ha destinato solo 15,6 milioni di euro per progetti relativi all'endometriosi negli ultimi anni, una cifra esigua considerando che le perdite annuali dovute alle assenze lavorative correlate a questa malattia ammontano a circa 30 miliardi di euro.
“In questo contesto - commenta Paola Viganò, Responsabile Laboratorio PMA del Policlinico di Milano - la procreazione medicalmente assistita (PMA) si presenta come una soluzione fondamentale per le donne che desiderano avere figli nonostante la malattia. La PMA offre l'opportunità di superare le barriere fisiche e infiammatorie derivanti dall'endometriosi, aumentando le probabilità di concepimento. Infatti, consente di avere un buon controllo sui processi di fecondazione e impianto dell'embrione, riducendo significativamente gli effetti negativi della malattia".
“Attualmente, le opzioni terapeutiche non comprendono una cura definitiva per l'endometriosi - conclude Edgardo Somigliana, Direttore Pronto Soccorso Ostetrico - Ginecologico e PMA del Policlinico di Milano - ma esistono diverse strategie per gestire e controllare i sintomi. Farmaci ormonali, come contraccettivi orali e progestinici, sono frequentemente utilizzati per mantenere la malattia sotto controllo. L'intervento chirurgico è un'opzione riservata ai casi in cui il dolore persiste, con l'obiettivo di rimuovere le lesioni e migliorare la qualità della vita”.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA