(dell'inviata Manuela Correra)
Dagli oltre 24 mesi di 5-10
anni fa ai 14 mesi attuali: il tempo che i pazienti oncologici
italiani devono attendere per poter disporre dei farmaci
innovativi si è ridotto, ed è anche sotto la media europea, ma
l'attesa resta ancora troppo lunga. Colpa di un eccesso di
burocrazia contro cui gli oncologi scendono in campo, puntando
ad una più stretta collaborazione con l'Agenzia italiana del
farmaco (Aifa) al fine di abolire i Prontuari terapeutici
regionali (Ptr), che allungano notevolmente i tempi per le
autorizzazioni. La richiesta arriva dall'Associazione italiana
di oncologia medica (Aiom) in occasione del congresso della
Società europea di oncologia medica (Esmo), che si apre oggi a
Barcellona.
In Europa, è pari a circa un anno e mezzo - 18 mesi - il
tempo medio (nel 2023) per disporre dei nuovi farmaci
anticancro, tempi che si sono allungati di oltre un mese
rispetto al 2022. L'Italia è più rapida rispetto alla media Ue,
però i pazienti oncologici devono aspettare ancora 417 giorni,
cioè quasi 14 mesi, per accedere ai trattamenti anticancro
innovativi. Basta pensare che in Germania, che si colloca al
primo posto in questa classifica, sono sufficienti 3 mesi (93
giorni). Da qui la necessità di nuovi modelli per consentire
l'immediata disponibilità delle terapie salvavita, partendo
appunto dall'abolizione dei Ptr, ancora presenti in 12 Regioni
(Valle d'Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna,
Marche, Umbria, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria,
Sardegna, Sicilia). L'attesa, afferma il presidente Aiom Franco
Perrone, "è ancora troppo lunga e può penalizzare fortemente i
malati oncologici. Per ridurre i tempi va anche consentita
l'immediata disponibilità dei nuovi farmaci dopo la
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, pure nelle more delle gare
regionali". Senza contare che dopo l'inserimento nei Ptr,
ulteriori ritardi possono essere causati dalle procedure
burocratiche per l'inclusione anche nei Prontuari Terapeutici
Ospedalieri. "Vogliamo collaborare con l'Aifa per definire nuovi
modelli", sottolinea Perrone. Un'altra criticità è poi quella
degli studi clinici: "Siamo preoccupati per i lunghi tempi
richiesti per l'approvazione delle sperimentazioni, che rendono
i centri italiani meno competitivi rispetto a quelli degli altri
pesi", afferma. Nel 2022, sono state autorizzate da Aifa 663
sperimentazioni e quasi il 40% ha riguardato l'oncologia. In
Italia, rileva il presidente eletto Aiom Massimo Di Maio, "ogni
anno migliaia di cittadini colpiti non solo da tumori ma anche
da altre patologie, partecipando agli studi clinici, possono
beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo,
rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori
possibilità di guarigione. Ed i vantaggi degli studi clinici
sono anche per il Servizio Sanitario Nazionale, che ottiene un
beneficio economico grazie ai costi evitati per le terapie,
sostenuti dalle aziende sponsor dei trial". È dimostrato che un
euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in
termini di benefici per il Ssn. L'effetto leva, determinato dai
costi evitati per l'erogazione a titolo gratuito di terapie
sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate
nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni
contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una
ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono
più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro. Ma se il
Regolamento europeo del 2014 "ha uniformato tra loro i Paesi
europei, dall'altro lato - evidenzia Giuseppe Curigliano,
presidente eletto Esmo e membro del Direttivo nazionale Aiom -
ha allungato di fatto i tempi di approvazione rendendo nel
complesso l'Europa meno competitiva, per cui le aziende
farmaceutiche tendono ad investire altrove. Ad esempio, gli
studi di fase I sempre più spesso iniziano in Usa, Australia e
Asia". È "urgente risolvere questi problemi, perché i risultati
della ricerca scientifica - concludono gli specialisti - sono
sempre più evidenti".
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