L'Europa attacca, la Cina
risponde. Senza aspettare l'autunno, quando i Paesi Ue saranno
chiamati a confermare i dazi fino al 37,6% introdotti in via
temporanea a luglio dalla Commissione europea sulle importazioni
delle auto elettriche cinesi, Pechino ha avanzato il suo ricorso
al Wto. Alimentando una guerra commerciale che era nell'aria già
da settimane. Una ritorsione legale che, ha spiegato un
portavoce del ministero del Commercio cinese dando l'annuncio,
mira a "salvaguardare i diritti e gli interessi di sviluppo
dell'industria" del Dragone da una decisione Ue "priva di una
base fattuale e giuridica" che "viola gravemente le norme" della
cooperazione globale. A metà luglio, in un primo voto
consultivo, i Ventisette sono apparsi sempre più inclini a
optare per la scure dei dazi sulle e-car made in China: i
governi decisi a dare un segnale forte a Pechino sono stati in
tutto 12, tra cui anche l'Italia. Ad astenersi sono stati invece
11 Paesi, compresa la Germania da sempre tra i più riluttanti
alle misure protezionistiche. Soltanto 4 i contrari: Ungheria,
Slovacchia, Malta e Cipro. Il voto decisivo per validare i dazi
- frutto dell'indagine sui maxi-sussidi elargiti da Pechino
aperta nell'ottobre del 2023 - in sede Ue sarà però tra la fine
di ottobre e l'inizio di novembre. "Esortiamo l'Ue a
correggere immediatamente le sue pratiche sbagliate e a
mantenere la stabilità della cooperazione economica e
commerciale tra Cina e Ue, nonché delle catene industriali e di
fornitura dei veicoli elettrici", ha tuonato Pechino. Bruxelles
però non sembra intenzionata a fare marcia indietro e, per bocca
di un portavoce, fa sapere di "prendere nota" del ricorso e di
essere intenzionata a reagire "a tempo debito". Nei giorni
scorsi il vicepresidente dell'esecutivo Ue responsabile per il
Commercio, Valdis Dombrovskis, pur dicendosi "aperto a una
soluzione reciprocamente accettabile", ha chiesto che sia la
Cina a cambiare rotta perché le sue "politiche e pratiche non di
mercato" stanno falsando il mercato infliggendo un duro colpo
all'industria europea. Dopo il ricorso di Pechino, lo spazio
per arrivare a un compromesso sembra restringersi. E i negoziati
- con l'incognita della posizione finale di Berlino, dove la
maggioranza tripartita del governo di Olaf Scholz è in
disaccordo sulla linea da tenere - si preannunciano complessi.
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