"Il fondatore della Valentino non ha mai davvero abbandonato il suo atelier. E' tutto lì dentro, come intrappolato. Spero davvero che se rimarrò ancora in questa maison, un poco somigli anche a me un giorno. Ma è molto presente tutto quello che è stato: è come una co-direzione. E' come se quel posto si tramandasse. E' un luogo mitologico. E se chiedo a qualche lavorante spiegazioni su una cosa e da quanto tempo è in atelier, mi risponde 'non lo so, però faccio così perché me lo ha detto lui'". Alessandro Michele, da marzo alla direzione creativa della Valentino, è l'ospite più atteso dei talks della seconda edizione di Vogue Forces of Fashion, rassegna che si svolge nella sede dell'ex Mattatoio, dove i giornalisti del prestigioso magazine intervistano tutto il giorno stilisti internazionali. Ad ascoltare Alessandro Michele è presente un folto pubblico prevalentemente costituito dagli studenti delle scuole e delle accademia di moda romane. Ma in prima fila, siedono anche Giancarlo Giammetti, socio storico e compagno di una vita di Valentino Garavani e Daniela Giardina, insostituibile portavoce del maestro. Alessandro Michele, solito cappello con visiera sui capelli lunghissimi, jeans e scarpe da ginnastica, viene intervistato da Francesca Ragazzi, responsabile dei contenuti editoriali di Vogue Italia. "Lavorare a Parigi per me è bellissimo. Parigi è irresistibile - rivela lo stilista - per me è stata una scoperta. Poi Valentino e Giammetti hanno creato un atelier che è un pezzo di storia. Da li guardo il cielo della città con le nuvole autunnali e mi affaccio sulla bellissima piazza. Poi cammino molto. Parigi mi ha sedotto, ma per me è la nipote di Roma". "La mia prima collezione che ha sfilato a Parigi, Pavillon des Folies - spiega lo stilista - voleva essere una celebrazione della vita. Appena arrivato da Valentino a marzo, ho studiato l'archivio e ho capito che c'era una cosa che mi accumunava al signor Valentino: la vita intrappolata nelle cose, negli abiti. I luccichii dei ricami, i plissè. Andava celebrata quella frivolezza che doveva diventare quasi un canto religioso, quello di un uccello".
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