La passione degli italiani per la casa di proprietà, anche fra i ceti meno abbienti, rende il nostro paese meno squilibrato sul fronte della ricchezza netta rispetto alla media europea. Anche così, tuttavia, il 5% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza. L'analisi della Banca d'Italia svolta in ambito Bce riconosce di non 'catturare' interamente la liquidità o le proprietà dei più ricchi ma compie comunque dei passi avanti notevoli sull'accuratezza rispetto alle precedenti indagini. Lo studio segnala come nel 2022 "i principali indici di disuguaglianza siano rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016". Un periodo, quest'ultimo, dove la ricchezza netta è sceso da quasi 200.000 euro a poco più di 150.000 (il calo del valore medio è stato molto più contenuto) e si è concentrata nella fascia alta della popolazione con un aumento dell'indice di Gini.
Va poi detto che la ricchezza delle famiglie, almeno fino al 2022, non ha ancora interamente recuperato il tracollo subito dal Pil del nostro paese nella crisi del debito sovrano, scontando inoltre il calo dei prezzi delle case a differenza di altri paesi come la Spagna, la Francia e la Germania che, non a caso, hanno avuto un recupero del pil più brillante. Si vedranno, visto il tutto sommato positivo andamento dell'economia nel 2023, le risultanze della prossima indagine.
Il mattone quindi, sottolinea l'analisi, costituisce la metà della ricchezza totale del nostro paese e per la famiglie più povere rappresenta i tre quarti della propria ricchezza cui si aggiunge la liquidità nel conto corrente. Quando si passa alla classe media, case e altri immobili ne costituiscono il 70% della ricchezza mentre i più abbienti hanno un portafoglio più diversificato che comprende azioni, titoli, depositi e polizze vita e forse anche per i bassi tassi di interesse, hanno ridotto il possesso dei titoli di debito.
Questa caratteristica italiana non ha riscontro nel paese con il maggior grado di diseguaglianza, la Germania, dove le famiglie meno ricche fanno maggiormente ricorso all'affitto. Una soluzione, ma il rapporto non ne parla, che però lì è spesso sussidiata dal pubblico mentre nel nostro paese il settore immobiliare ha visto una crescita della tassazione in questi anni e un bisogno crescente di spese di manutenzione visto il suo invecchiamento.
E se il nostro paese ha solo recentemente recuperato gli effetti della crisi del debito e della pandemia Covid, ha dovuto poi affrontare l'impennata dell'inflazione e gli effetti della crisi ucraina cui la Bce ha dovuto opporre la stretta monetaria.
In questo ambito sempre la Banca d'Italia, come previsto dalle norme e in linea ad altre banche centrali, ha deciso di continuare, per tutto il 2024, a prestare denaro alle banche accettando come garanzia anche i finanziamenti concessi alle famiglie sotto forma di crediti al consumo e mutui o quelli alle piccole e medie imprese. Si tratta di 102 miliardi (dati a settembre 2023), circa il 36,7% sul totale del valore delle garanzie stanziate in Banca d'Italia. Ha tuttavia aumentato la soglia dei prestiti da zero, livello stabilito al tempo della pandemia, a 25mila euro. Lo schema di credito aggiuntivo (Acc), revocato dalla Bce nel novembre scorso nell'ambito della stretta monetaria può infatti essere declinato a livello nazionale (diverse banche centrali avevano scelto di farlo) e la nostra banca ha deciso di mantenerlo in vigore per l'intero anno.
L'obiettivo è quello di aumentare la capacità delle banche di sostenere l'economia reale anche accettando a garanzia "crediti che non soddisfano tutti i criteri di idoneità stabiliti nel sistema generale delle garanzie dell'Eurosistema" come spiegava la Bce a suo tempo.
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