Il linguaggio del corpo che prende
forma nella danza favorisce l'incontro con 'l'altro' e accoglie,
supera barriere e pregiudizi. Una metodologia pedagogica che
rompe schemi di incomunicabilità e facilita un dialogo
interculturale partecipato, dando anche spazio alla dimensione
artistica e creativa. E' intorno a questa idea che si sono
incontrati studenti della periferia romana, con forte disagio
sociale, e migranti provenienti da centri di accoglienza. Ne
parla un libro di Fernando Battista, "Pedagogia del confine.
Storie di corpi in movimento per una geografia delle relazioni"
(Edizioni Junior, 2024), di recente pubblicazione, che riporta i
risultati una ricerca condotta al Liceo Scientifico "Edoardo
Amaldi" di Tor Bella Monaca, in cui utilizzando i linguaggi
della danza, della danzamovimentoterapia e delle arti studenti e
migranti sono riusciti ad ascoltarsi e a dialogare.
Un'esperienza sul campo che conferma la bontà di un approccio
pedagogico, la Pedagogia del confine, su cui riflettere. "Le
arti - dice l'autore all'ANSA - sono una mediazione giusta e i
laboratori in classe, con annessa la formazione dei docenti,
sono occasioni volte appunto all'incontro, in questo caso ai
migranti". Il tutto a vantaggio di un accrescimento di identità
e di autostima, dello sviluppo della capacità di riflessione
contro discriminazioni e pregiudizi, della lettura del mondo in
cui si vive.
"Questo percorso è nato per trasformare il pregiudizio e
promuovere un attraversamento dei confini territoriali e non".
Ecco il confine. "Il confine - continua Battista - è una linea
che divide, che non appartiene a nessuno ma che può essere un
elemento da abitare insieme. Siamo noi a dargli un'identità, la
possibilità di un riconoscersi in quel luogo l'uno con
l'altro".
Battista, che fra l'altro è docente al Master di Educazione
Interculturale all'Università Tre di Roma e
danzamovimentoterapeuta, sottolinea che in questo percorso tutto
è facilitato dall'uso del corpo. Nella "nostra esperienza dopo
aver usato il corpo, la lingua non era più un problema. Ci si
riconosceva. Si tratta di un incontro che cambia le persone, è
l'uso di quel linguaggio corporeo, insieme anche ad altri
linguaggi artistici, come il disegno, che permette la
trasformazione e l'accoglienza".
Cinque anni di laboratori in classe, un progetto educativo
realizzato in collaborazione con l'ong Intersos, trovano un
positivo riscontro nelle testimonianze dei ragazzi che hanno
partecipato. Dopo tre anni dal progetto, c'è chi ha detto: "Il
progetto mi ha dato sicurezza. Mi ha aiutato ad interpretare
diversamente le cose, a volerle scoprire e a non rimanere
nell'ignoranza, a capire ed aiutare".
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