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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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Il 9 settembre è stato formalmente presentato da Mario Draghi alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’atteso rapporto sul futuro della competitività europea.
Nel suo breve intervento introduttivo alla conferenza stampa di presentazione del rapporto, von der Leyen ha richiamato alcuni punti dei suoi orientamenti politici riconoscendo come gli stessi siano stati arricchiti dagli scambi d’idee con Draghi avvenuti durante la preparazione del rapporto. Questo scambio è stato facilitato, come precisa von der Leyen, condividendo un accordo su due principi fondamentali, ovvero che l'unico modo per garantire la nostra competitività a lungo termine è quello di abbandonare i combustibili fossili e passare a un'economia pulita, competitiva e circolare e che i nostri sforzi sulla competitività devono andare di pari passo con una maggiore prosperità per tutti in Europa e che tutte le trasformazioni che metteremo in moto devono essere eque.
Richiamando l’attenzione espressa dai leader europei in sede di Consiglio, von der Leyen sottolinea l’ampio consenso nel porre in cima alla nostra agenda, al cuore della nostra azione il raggiungimento da parte dell’Ue di una più solida posizione in un mondo sempre più caratterizzato da una forte concorrenza economica.
Nel suo rapporto Draghi parte dalla constatazione di fatto che già dall’inizio di questo secolo l’Europa si sta preoccupando del rallentamento della sua crescita e che le diverse politiche varate per rispondere al fenomeno non hanno comunque modificato questa tendenza.
Come precisa l’ex presidente della Bce si tratta di un rallentamento della produttività dell’Ue che in fase transitoria non ha particolarmente inciso sull’economia dell’Unione che ha potuto comunque contare su di un contesto globale favorevole anche grazie alla stabilità geopolitica dove gli esportatori europei sono riusciti a conquistare quote di mercato nelle parti del mondo in più rapida crescita, contando sulla disponibilità di energia a prezzi contenuti attraverso i rapporti commerciali con la Russia.
Lo scenario di oggi è però radicalmente cambiato. Le dipendenze dell’Europa si sono rivelate come vulnerabilità di sistema, a cui è prioritario rispondere aumentando la produttività. Draghi indica la necessità di incrementare gli investimenti in Ue per circa il 5% del PIl complessivo perseguendo gli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa. Facendo il paragone con gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 che ammontavano a circa l'1-2% del Pil all’anno, Draghi evidenzia che ciò rappresenta uno sforzo senza precedenti. Ma irrinunciabile rappresentando una sfida esistenziale per l’Ue: se l'Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Si tratterebbe di fatto per l’Europa di non essere in grado di rispettare i suoi valori fondanti identificati con la prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile: l'Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l'Europa non può più fornirli ai suoi cittadini, o deve scegliere tra l'uno con l'altro, avrà perso la sua ragione d'essere. L'unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l'unico modo per diventare più produttivi è che l'Europa cambi radicalmente.
Le azioni da mettere in atto vengono articolate in tre aree:
Enunciando la pace come il primo e principale obiettivo dell’Europa, Draghi condivide comunque la considerazione che le minacce alla sicurezza fisica stanno aumentando e dobbiamo prepararci. Il rapporto mette in evidenza il dato che l’entità della spesa militare dei 27 Stati membri dell’Ue è al secondo posto al mondo, ma che ciò non si riflette nella nostra capacità industriale di difesa a causa della frammentazione tra i diversi Stati che impedisce lo sfruttamento delle economie di scala.
Come sintetizzato nella prefazione al rapporto, al fine di conseguire i risultati, sarà necessario rimuovere gli ostacoli identificati in tre aree specifiche:
di Luigi di Marco
Consulta la rassegna dal 29 luglio al 9 settembre
Fonte copertina: European Parliament, da flickr.co
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