"L'obiettivo della prevenzione
dell'emicrania non dovrebbe limitarsi a una riduzione del 50%
dei giorni di emicrania, ma piuttosto mirare a garantire il
massimo miglioramento possibile per chi soffre di questa
patologia disabilitante": è quanto afferma Simona Sacco,
professore ordinario di Neurologia all'Università dell'Aquila e
prima autrice di un documento di sintesi, pubblicato sulla
rivista Cephalalgia, con cui la società internazionale delle
cefalee (International Headache Society) invita la comunità
scientifica e i clinici a rivedere gli obiettivi della
prevenzione dell'emicrania.
Un approccio alternativo che non si limita a riduzioni
percentuali dei giorni con emicrania, ma pone l'accento sulla
qualità della vita e sulla possibilità di viverla appieno, senza
il peso costante della malattia. Il documento propone un nuovo
quadro di valutazione basato su quattro livelli di controllo
dell'emicrania: 'libertà dall'emicrania': nessun giorno con
emicrania o cefalea moderata-severa; 'controllo ottimale': meno
di 4 giorni al mese con emicrania o cefalea moderata-severa;
'controllo modesto': tra 4 e 6 giorni al mese con emicrania o
cefalea moderata-severa; 'controllo insufficiente': più di 6
giorni al mese con emicrania o cefalea moderata-severa.
"Per chi soffre di emicrania - dichiara Sacco - non dovremo
accontentarci di un miglioramento parziale: vogliamo promuovere
un cambiamento nella pratica clinica che riduca al minimo la
disabilità residua e favorisca il benessere complessivo dei
pazienti, affinché possano riappropriarsi delle proprie vite con
serenità e libertà". Co-coordinatrice del documento è la
professoressa Cristina Tassorelli, ordinario di Neurologia
all'Università di Pavia.
L'Ihs sottolinea che questo approccio non intende modificare
i criteri di approvazione dei farmaci o le politiche di
rimborso, "ma piuttosto ispirare clinici, ricercatori e decisori
politici a puntare più in alto nella gestione dell'emicrania".
Si cerca un cambiamento nella mentalità di approccio
all'emicrania, perché chi soffre di questa malattia non merita
solo di "stare un po' meglio", ma di vivere bene, con la
serenità di chi non deve più preoccuparsi del prossimo attacco.
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