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Il 17 gennaio il mondo celebra l'icona del Made in Italy
Il piatto povero per eccellenza conquista la grande ristorazione e gli alberghi di lusso, fa gola ai fondi internazionali ma ora lievita anche il prezzo. In occasione del World pizza day, facciamo un punto sullo stato di salute del settore, dalle innovazioni tecniche al lavoro dei pizzaioli ormai star di social media e tv (nella foto di MASSIMO PERCOSSI / ANSA la Capricciosa di Ivano Veccia)
Dire pizza è dire Italia, come il nome di un grande stilista, come il Colosseo. Ed è proprio all’ombra dell’Anfiteatro Flavio che la pizza sta vivendo una suggestiva rivoluzione: da piatto povero ed economico per eccellenza, antesignana dello street food dai vicoli di Napoli fino alle Avenues di New York City, oggi sta entrando di prepotenza nella grande ristorazione e nei menù degli alberghi di lusso: e la città eterna l’ha accolta con riguardo. Alcuni esempi sono hotel come il Six Senses, il W Rome, il Bulgari per citarne alcuni. Ma lo stesso sta accadendo a Dubai, negli Emirati, e in altre parti del mondo. I pizzaioli alla stregua di chef stellati e maestri pasticcieri. La pizza proposta in abbinamento a vini pregiati e bollicine. E sempre a Roma c’è Gabriele Bonci, l’eroe, un maestro fornaio che, grazie anche a tv e social media, ha dato la sua impronta per diffondere la conoscenza di nuove tecniche di panificazione e lievitazione elaborate dalla scienza dell’alimentazione, come nell'utilizzo di nuove farine e nella selezione, per i condimenti, di materie prime sostenibili e a chilometro zero. “Ma quando apre una sua pizzeria?” gli abbiamo chiesto. “Resto un fornaio, è il pane la mia sfida” ha risposto per poi dileguarsi. Ma dietro questa vera e propria rivoluzione i nomi sono diversi e proviamo a farne qualcuno: Francesco Arnesano, Stefano Callegari, Francesco Capece, Giancarlo Casa, Enzo Coccia, Salvatore Lionello, Salvatore Marcucci, Francesco Martucci, Jacopo Mercuro, Simone Padoan, Eduardo Papa, Luca Pezzetta, Angelo Rumolo, Ciro Salvo, Salvatore Salvo, Carlo Sammarco Pier Daniele Seu, Ivano Veccia e, non ultimo, Diego Vitagliano.
Il 17 gennaio è la loro festa, è la festa di questo mondo fatto di acqua e farina, un po’ di lievito e sale quanto basta, perché ricorre Sant’Antonio Abate, protettore di pizzaioli e fornai e nel mondo è diventata il World Pizza Day. Ma il red carpet di quella che molti chiamato ‘pizza contemporanea’ o ‘gourmet’, sta portando con sé un risvolto: un deciso rialzo dei costi per il consumatore finale. Oggi per una semplice pizza margherita, a Roma come a Milano non bastano dieci euro (e voliamo bassi), Napoli ancora prova a limitare i danni, ma la tendenza è in atto e non sembra arrestarsi. Tra gli stessi maestri pizzaioli, il dibattito è forte e c’è chi, come Gino Sorbillo, chiede un passo indietro. Con Franco Manna, imprenditore e oggi docente della Federico II di Napoli, sfioreremo anche temi finanziari come l’interesse da parete delle società di private equity internazionali per i brand italiani. Ma la pizza è soprattutto una storia, e abbiamo scelto di raccontare quella di Daniele Gagliotta, uno scugnizzo finito a 15 anni in carcere a Nisida e oggi alla conquista degli Stati Uniti con le sue mani sempre in pasta, ma stavolta per fare una pizza, e mai più per commettere un reato.
“Sicuramente c’è stata un’innovazione dell'immagine della pizza napoletana e non solo, ancora prima dell’avvento della cosiddetta “contemporanea” o “gourmet”. Un punto di svolta molto importante, è stato il 7 dicembre 2017, quando l’arte dei pizzaioli è diventata patrimonio immateriale di Unesco”. Chi parla è Franco Manna, fondatore, tra le altre, della catena Rosso Pomodoro, membro dal 2014 dell'Accademia dei Georgofili, e docente della Federico II di Napoli per quale insegna, a contratto, Processi gestionali per la ristorazione alla facoltà di Agraria a Portici. “Il riconoscimento Unesco – sottolinea Manna - è stato un momento di rilancio forte perché da piatto semplice e povero, la pizza è stata valorizzata anche per la sua storicità culturale: una cosa è un piatto popolare e buono, una cosa è riconoscerne la base culturale forte. E il fatto che il lavoro dei pizzaioli sia oggi riconosciuto come arte culturale dall’Unesco, è stato un passaggio fondamentale. Poi è ovvio che questa nuova moda della pizza contemporanea (quella per intenderci con il cornicione più pronunciato) è stato un ulteriore rilancio. In realtà a Napoli già c’era, ma averla definita “contemporanea” credo sia stata una cosa intelligente, perché fa capire al consumatore finale che c'è stata un'evoluzione del prodotto. Quando una proposta è troppo storicizzata, statica, poi rischia di diventare obsoleta. Invece il fatto di aver rinnovato il linguaggio, al di là dei gusti, se piace o non piace, trovo sia stata un'operazione di marketing intelligente”.
A quando possiamo retrodatare questa novità? “Questa innovazione - risponde Manna - è avvenuta più di 15 anni fa – diciamo tra il 2005 e il 2010 - quando è emerso in modo prepotente la necessità di avere delle lievitazioni più lunghe. In quegli anni c'è stato un punto di svolta della pizza diciamo tradizionale che da sfiziosa, buona e saporita è diventata anche un prodotto di qualità e sicuramente più digeribile. Non è vero che questo è avvenuto prima a Roma, è avvenuto anche a Roma ma soprattutto a Napoli, grazie a una sorta di osmosi che si è generata fra i nuovi processi di panificazione e quelli relativi alla preparazione dell’impasto per pizza. A Roma, ad esempio, Gabriele Bonci, è stato ed è un panificatore importante in questo senso e si è imposto a livello comunicativo. Ma tutto ciò avveniva a Napoli e anche in altre zona d'Italia, penso all'Emilia Romagna, ad esempio. A Napoli poi ha trovato sicuramente la sua collocazione ideale. In città era diventato un punto d'orgoglio, da parte dei pizzaioli, fare le lunghe lievitazioni, ma soprattutto di dichiararlo. In tutto questo la ricerca nella scienza dell’alimentazione ha inciso tantissimo, e da parte dei pizzaioli c'è stato un adeguamento in tema anche di crescita della percentuale di idratazione rispetto alla farina. Per non parlare poi della ricerca nel settore della stessa farina che a sua volta ha subito miglioramenti”
Cosa vuol dire per un territorio l'economia della pizza, quanto oggi vale e soprattutto come sta cambiando? I fondi internazionali continuano a fanno shopping di marchi e catene di settore a Napoli come nel resto d’Italia? "A Napoli vent'anni fa si contavano circa 2500 pizzerie, oggi dobbiamo parlare di un numero di almeno 8500 e sto parlando di pizzerie che fanno solo pizza. A Milano, verso la fine degli anni ‘90, di pizzerie napoletane penso che ce ne fossero solo sei. Contatele oggi. Negli anni, il fenomeno ha generato un indotto importante che poi ha portato questi investitori finanziari, le cosiddette società di private equity , a interessarsi. Il motivo è presto detto. Come costi, la pizza ha materie prime di approvvigionamento abbastanza bassi nell'ordine del 20% sul totale della spesa. Per cui una pizzeria che funziona, cioè che incassi da un milione e mezzo ai due milioni di euro l'anno, con un utile quindi fra il 15% e il 20%, significa tanto. Per mettere in piedi una pizzeria, si può cominciare con un capitale di base di 400-500 mila euro. Se non ci sono inciampi, 300.000 euro di utile all'anno li porti a casa e in un anno e mezzo, due anni, si riesce a coprire l’investimento iniziale. Per una società di equity sono riferimenti importanti. Poi c'è stato il disastro del Covid. Oggi ne stiamo uscendo sebbene non completamente”.
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Lo stato di salute del comparto pizza è di tutto rispetto. Secondo gli ultimi dati forniti dalla Coldiretti, il comparto registra un fatturato di oltre 15 miliardi l'anno. L'occupazione nel settore è stimata in 100.000 addetti a tempo pieno e altrettanti 100.000 nel weekend. E non è da meno la produzione: solo in Italia, sottolinea la confederazione, si sfornano 2,7 miliardi di pizze all'anno, utilizzando 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. La Margherita - sempre secondo l'analisi dell'organizzazione agricola - resta la più consumata, mentre, a livello planetario, gli americani sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa. In Europa gli italiani sono in testa con 7,8 chili all'anno, seguono spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono la classifica.
Da un altro studio realizzato dagli organizzatori del Campionato mondiale della pizza (Pizza e Pasta italiana), che nel 2024 celebra la 31esime edizione, i dati del 2023, al 31 dicembre, registrano che sono infatti nate 3.730 nuove attività con pizza, su un totale di 18.219 nuove attività di ristorazione (il 20% del totale). L'andamento economico di nuova vitalità, dopo il periodo del primo trimestre 2023 altalenante con una crescita nel numero delle nuove imprese della ristorazione pari al 9% a fronte di un parallelo aumento delle cessazioni (+15%), sembra certificare una normalizzazione della situazione determinatasi dal Covid con una enorme selezione e con un ricambio delle attività. Il Campionato Mondiale della Pizza è dedicato ai professionisti e si terrà è a Parma dal 9 all'11 aprile presso il Palaverdi, nel Polo Fieristico.
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Dal carcere minorile di Nisida, a Napoli, alla conquista degli Stati Uniti con la sua pizza. Daniele Gagliotta, 31 anni, oggi vive a Washington, gira il mondo come consulente della ristorazione, e sorride orgoglioso: "Ho cercato di inseguire un sogno che a volte non è stato facile neppure immaginare - racconta a fine servizio dopo un'altra intensa giornata di lavoro -. Ma grazie alla mia università, che è stata quella della strada, del marciapiede, ho tirato fuori il meglio di me, ho lavorato e lavoro tanto e questo sogno ora sta diventando una realtà: ho una casa, una famiglia e la fiducia di tanti che credono in me". La sua pizza è una tradizionale napoletana che strizza l'occhio a quella contemporanea e gourmet. Daniele è finito nel carcere di Nisida quando aveva 15 anni. Originario del centro storico di Napoli, la sua infanzia non è stata facile. "Da quando sono uscito, dopo due anni, ho sempre nascosto questa parte della mia vita e oggi sono pronto ad affrontare il mio passato con consapevolezza: so di aver sbagliato da bambino, ma so anche che tutti nella vita possono sbagliare e avere una seconda opportunità. Poi, anche grazie alle persone che ho incontrato, c'è stata la svolta".
Il ricordo va a quegli anni a Nisida: "Con me in cella c'erano esponenti molto pericolosi di famiglie malavitose di Napoli. Tanti di questi, mentre io poi ho iniziato a lavorare e a raccogliere le prime soddisfazioni, sono stati ammazzati e condannati all'ergastolo". L'occasione arriva grazie ai corsi di formazioni iniziati proprio in carcere: la panificazione, la pizza ma anche il teatro. Uno dei primi a credere in lui fu Errico Porzio, detto anche il pizzaiolo di popolo. Quando Daniele si presentò da lui nel 2013 per frequentare il corso di pizzaiolo, arrivò in manette accompagnato dalla polizia penitenziaria. "Mi vergognavo di quelle manette ai polsi, mi venne da piangere" ricorda oggi. "Forse - riflette lo Scugnizzo napoletano nel mondo, premio ricevuto dalla città nel 2021 - se non fossi finito in carcere, non avrei avuto le stesse opportunità. Ho pagato le conseguenze delle mie azioni e ora sono maturato. Ho imparato ad ascoltare gli altri mentre prima, uno dei miei più grandi errori, era proprio quello di non sapere e volere ascoltare". Il suo Dna partenopeo emerge con entusiasmo: "Il fatto che sono un figlio di Napoli mi regala emozioni, mi dà un'energia che forse, se fossi nato da un'altra parte, non avrei avuto. In pochi anni ho già portato il mio lavoro come consulente in 15 paesi del mondo, ho ricevuto premi ma quello più grande è poter essere oggi un esempio per tanti giovani che ancora pensano che la strada, poter guadagnare e spendere tanti soldi velocemente sia tutto. Non è vero, non è così. Ora che sto dall'altra parte del marciapiede, posso dire che tutti possiamo farcela, se solo lo vogliamo".
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Tra sperimentazioni innovative, creatività, grandi firme e tanta tradizione sono 735 i migliori locali selezionati da Gambero Rosso nella guida "Pizzerie d'Italia 2024", che racconta il variegato mondo dello stile italiano nella pizza attraverso gli indirizzi di eccellenza premiati con 103 i Tre Spicchi, 14 le Tre Rotelle, oltre alle nove categorie di premi speciali.
La guida delle pizzerie del Gambero Rosso
"Mentre si consumano fiumi di parole sulla crisi dell'alta ristorazione, è la pizza d'autore a marcare il territorio, sempre più sintesi di una storia nella quale grani e farine scelti direttamente dal campo, testimoniando che con intelligenza, studio e passione si può andare oltre, senza perdere identità" sottolineava all'ANSA Laura Mantovano, direttrice delle guide del gruppo editoriale nel giorno della presentazione a Napoli lo scorso fine settembre. "La pizza è un evergreen che non conosce declino, anzi capace di reinventarsi grazie all'abilità e alla creatività dei maestri pizzaioli che, usando sapientemente impasti, lavorazioni e lieviti, riescono a rendere ancora più speciale e unico questo grande prodotto".
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E il 2023 è stato l'anno della consacrazione mondiale di 50 Top Pizza, la guida on line delle migliori pizzerie al mondo che è il punto di riferimento della pizza di qualità. La prima guida esce nel 2017, con la classifica Italia ed una sezione Internazionale. A tutti gli effetti oggi è una guida mondiale con più di 2000 indirizzi tra pizzerie indipendenti e catene artigianali. La guida è presente, oltre che in Europa, in Asia, Oceania, Stati Uniti e dal 2024 anche in America Latina. La premiazione delle migliori pizzerie del mondo si è svolta a Napoli nel Teatro di Corte di Palazzo Reale.
L'evento ha avuto una copertura mediatica importante con oltre 4.700 articoli e ha coinvolto 62 paesi, della penisola arabica alle Filippine, dall’Australia all’India, dall’Argentina al Brasile, dalla Malesia alla Thailandia e ha visto articoli in 32 lingue diverse come l'hurdu, il cinese e giapponese, l'ebraico e l'hindi. In Gran Bretagna quotidiani come il Times e il Telegraph, hanno dedicato alla guida una pagina intera cartacea e negli Stati Uniti sono stati realizzati quasi 80 servizi video servizi. La Cnn ha dedicato ampio spazio alle uscite della guida, con vari servizi, da gli Stati Uniti alla Filippine, fino alla versione brasiliana.
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"Madre pizza. Le ricette di stagione del re degli impasti per conservare la natura e ritrovare il gusto" è firmato dal maestro eroe della pizza, Gabriele Bonci (De Agostini - 235 pag 20,90 euro). Racchiude oltre 50 ricette pizze, pani e fritti impasti diretti e preimpasti e tanti consigli per conservare i prodotti di stagione in modo sano e sostenibile. Prima di restare folgorato dalla magia della lievitazione, Gabriele Bonci voleva fare il contadino, come suo nonno. Non ne ha mai fatto mistero, e per lui la pizza e il pane rimarranno sempre legati alla terra e al lavoro di chi la coltiva. Ecco perché quello che avete tra le mani «è un libro fatto col trattore», che nasce dall’amore e dal rispetto per i prodotti naturali. Un vero viaggio all’origine del cibo. Oltre a tante ricette inedite e genuine, in Madre pizza ritroviamo tutto il suo metodo e il suo pensiero in una struttura nuova, pensata per seguire al meglio il ritmo delle stagioni: perché i prodotti di stagione costano meno e sono più buoni, e perché è ormai chiaro a tutti quanto sia importante rispettare i tempi e gli spazi della natura. Prefazione di Dario Torresi.
"La pizza. Una storia contemporanea" del giornalista e food blogger Luciano Pignataro (Edizioni Hoepli - 176 pagine 28,40 euro) è un lavoro nel quale dici pizza e pensi a Napoli, ma poi la pizza la mangi a Roma, Milano, New York, San Paolo del Brasile. Ognuno la prepara a modo suo, ma sono varianti di un piatto universale. La pizza cambia, si evolve, è proposta in mille modi diversi e racconta mille storie di miseria e nobiltà. Luciano Pignataro le ha raccolte per scrivere la prima autorevole storia contemporanea della pizza. Dopo il riconoscimento Unesco dell’Arte del pizzaiolo napoletano come Patrimonio immateriale dell’umanità, un libro che ne traccia finalmente la storia.
"Pizza. Una storia napoletana" di Antonio e Donatella Mattozzi (Collana asSaggi - 272 pagine 16,50 euro) è un testo dove, per la prima volta l'origine e la diffusione della pizza sono descritte e inquadrate storicamente, in un saggio che è il risultato di accurate ricerche e dell'elaborazione di documenti di prima mano. Tra indagine storica e curiosità antropologiche, tra pizzerie e pizzaioli, gli autori ci riportano al clima che si viveva a Napoli dal Settecento fino ai primi del Novecento, in un lungo racconto che ci spiega come un cibo molto povero si sia poi affermato, in Italia e in tutto il mondo, come uno dei cibi più amati e consumati. Antonio e Donatella Mattozzi hanno scritto su questo argomento il testo più autorevole e gustoso, che ora viene presentato in un’edizione riveduta integralmente. Un libro nuovo, insostituibile nella biblioteca di appassionati e curiosi.
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