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Un ombrello aereo tra le nuvole
In Romania sul mar Nero i nostri piloti, tra loro anche una donna, a bordo dei caccia catturano dati importanti che in poco tempo finiscono sui cellulari dei soldati ucraini sul campo di battaglia
Arriva un allarme: in dieci minuti un caccia italiano con un boato squarcia l'aria dalla base di Costanza e decolla. Sorvola il Mar Nero accelerando fino a superare la velocità del suono, acquisisce dati e informazioni. La comunicazione gracchiante di 'Mr Big' con la torre di controllo procede. In poco tempo si attiva una triangolazione con Roma che fa scattare un alert via messaggio sul cellulare dei soldati ucraini nella trincea del Donbass. Sopra i cieli dei Carpazi dieci piloti italiani sui trent'anni, tra loro una donna, supportano tra le nuvole della Romania le truppe di Kiev contro l'invasione russa, raccogliendo le coordinate degli attacchi in Ucraina. A supportarli negli hangar c'è una squadra abituata all'odore di cherosene bruciato che conta centocinquanta nostri militari, ma il cervello che poi elabora tutto è in Italia, con le sue sinapsi digitali sparse per il Paese. "Abbiamo creato un ombrello virtuale di informazioni sui dati - come ha spiegato il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, Luca Goretti - un vantaggio affinché Kiev possa competere alla pari con la Russia in una guerra che, anche se non sembra, è altamente tecnologica, dove ogni informazione viene mandata al soldato ucraino sul cellulare".
La cosiddetta task force Air Gladiator opera nell'ambito della missione Nato nata dopo l'invasione russa della Crimea nel 2014 a scopo di difesa e deterrenza e oggi, dopo essere stata in vari Paesi, l'aeronautica militare italiana nella base aerea di Mihail Kogalniceanu, sulla costa del Mar Nero, opera con quattro caccia Eurofighter Typhoon e "l'ombrello virtuale" è un supporto decisivo. Così si passa dal rumore assordante delle mega turbine sulla pista alla quiete degli schermi nel bunker che sfornano numeri. "I sensori complessi dei velivoli raccolgono moltissime informazioni che - spiega il colonnello Antonino Massara, comandante della Air gladiator in Romania - vengono elaborate in parte qui in Romania ed in parte in Italia, poi inviate alla Nato e agli organismi dell'intelligence militare nazionale ed utilizzate per aiutare la comprensione degli scenari tattici e strategici". Le sentinelle volano trenta ore alla settimana infilate nelle loro cabine con le maschere, alle prese con schermi, cloche e un'infinità di pulsanti nella plancia di comando: i piloti di turno per l'allerta rimangono vestiti con tutto l'equipaggiamento (col quale dormono anche) restando pronti al decollo giorno e notte e per poter partire in pochi minuti nei casi di 'scramble', l'ordine di decollo su allarme, spesso alla ricerca dell'avvicinamento di 'zombie', gli aerei non identificati. "Lo scenario è complesso e non lascia spazio ad errori, che potrebbero essere visti come provocazioni", sottolinea il maggiore Daniele M., comandante del task group Typhoon, il quale è anche un supervisore dello stato di salute dei piloti e del personale tecnico. "Ci sono stati eventi di scramble per i quali - aggiunge - i nostri velivoli si sono alzati in volo in pochi minuti dalla ricezione dell'ordine di decollo".
Intorno ai dieci top gun italiani c'è una squadra che dagli hangar si occupa di logistica ed infrastrutture. Dalla cura delle apparecchiature di pressurizzazione della cabina fino agli impianti per la generazione dell'ossigeno erogato nella maschera del pilota, le attenzioni sono maniacali. Il tutto prima di vedere nell'aria le scie infuocate di diversi metri che si portano dietro gli Eurofighter in decollo. Poi il volo, dal quale i campi rurali della Romania si rimpiccioliscono sempre di più fino a diventare invisibili mentre poco distante il cielo è segnato dalle striature grigie lasciate dai missili che piovono sul territorio di guerra. Dopo un viaggio fino a oltre duemila chilometri orari e quota diecimila metri, il caccia torna alla base e vengono analizzati i dati raccolti. Resta tutto il lavoro a terra. E uno degli aspetti più delicati è la manutenzione degli apparati di comunicazione per la raccolta dati. Per spiegarsi, il tenente Andrea F., capo sezione efficienza aeromobili della task force che coordina una settantina di specialisti, fa riferimento all'assistenza per un piccolo aggeggio: "le operazioni di volo sono ormai gestite da software che in caso di avarie ci indicano i protocolli di intervento. Più che a un'officina meccanica per automobili, la nostra attività si avvicina piuttosto a quella di un centro Apple".
"Abbiamo creato un ombrello virtuale sull'informazione di dati per l'Ucraina: un potere aereo che non si vede ma esiste" (Luca Goretti, capo di Stato maggiore dell'Aeronautica)
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Non c'è soltanto l'invio di armi e sistemi antimissilistici. Nell'Europa orientale i nostri militari sparano colpi di mortaio, corrono tra i boschi, guidano i carri armati e sparano con colpi a salve, simulando una guerra negli addestramenti. Anche a duecento di chilometri dal confine con la Russia. La situazione in Ucraina ha condizionato l'impegno dell'Italia contro la minaccia di un'espansione del conflitto: sono circa tremila i militari del nostro Paese impiegati per attività di deterrenza e addestramento nel cosiddetto fianco Est, dove ogni giorno anche le nostre truppe si addestrano ad ogni possibile scenario di conflitto. I contingenti italiani (ovvero i battlegroup con cui diverse nazioni garantiscono la loro presenza in questo territorio) si trovano in Bulgaria, Lettonia ed Ungheria, dove donne e uomini si alternano a cadenza semestrale e sono impiegati nell'ambito della missione Nato che prevede il rafforzamento dell'enhanced forward presence - presenza avanzata - deciso nel 2016. Riguardo all'enhanced air policing - pattugliamento aereo - nata nel 2014 (a seguito della invasione russa della Crimea), l'Italia in questa fase gioca il proprio ruolo in Romania supportando la forza locale, con 150 uomini della propria aeronautica militare e quattro caccia Eurofighter. Un'altra piccola nostra componente si trova inoltre in Slovacchia dove è stato installato il Samp-T, lo stesso tipo di sistema missilistico di difesa inviato anche in Ucraina e in Polonia è schierata una nave con capacità di difesa aerea e missilistica. In Europa orientale l'impiego del numero di militari italiani è aumentato quindi notevolmente dopo lo scoppio del conflitto.
Ma è anche in Italia, in diverse strutture del Paese, che a loro volta i soldati di Kiev si esercitano nell'ambito dell'operazione Eumam. Si tratta della più grande missione di addestramento militare (con sedi principali in Polonia e Germania) che l'Unione europea abbia mai lanciato: mira a preparare i primi 15.000 soldati ucraini per il campo di battaglia. Su fianco Est invece la presenza maggiore dei nostri soldati è in Bulgaria, dove dall'ottobre del 2022 a Novo Selo l'Italia guida l'intero contingente internazionale: sono 740 i militari dell'esercito italiano e 400 gli stranieri. Qui durante i vari tipi di addestramento quotidiano - ognuno dei quali può durare fino a cinque giorni consecutivi - si impiegano dai 30 ai 700 militari. "Nel caso di un'eventuale possibile aggressione siamo pronti ad intervenire", sostiene il colonnello Andrea Fraticelli, comandante del contingente italiano in Bulgaria e di quello internazionale.
I mezzi impiegati per le esercitazioni di terra sono veicoli blindati, carri armati, mortai e altri componenti di artiglieria. Stesse attività a Bespen, in Ungheria, dove 260 uomini il contingente tricolore è quello più numeroso tra i battlegroup presenti nel Paese. Il comandante Massimiliano Careddu chiarisce che non si avverte alcuna situazione di tensione e gli eserciti di varie nazionalità si cimentano anche in prove sportivo militari: "la cosa interessante - dice - è che riusciamo a condurre tutte quelle attività che normalmente in Italia è sempre più difficile fare all'interno delle nostre aree addestrative". A circa duecento chilometri dalla Russia, con trecento persone, c'è invece il contingente italiano in Lettonia, nella base di Adazi, guidato dal tenente colonnello Gerardo Secco: "non ci sono manovre vicino al confine - spiega - e noi siamo lì ad addestrarci da ben prima che scoppiasse il conflitto. Quello che succede all'estero lo apprendiamo dai telegiornali".
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Fin dalle prime settimane del conflitto in Ucraina, l'Italia ha fornito mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari a Kiev attraverso una serie di provvedimenti, presi prima dal governo Draghi e poi, a febbraio 2023, da quello di Meloni. Nei primi decreti, tutti secretati, sarebbero stati inviati - oltre a contributi economici - dispositivi di protezione come elmetti e giubbotti, munizioni di diverso calibro, sistemi anticarro (Panzerfaust) e antiaereo (Stinger), mortai, lanciarazzi (Milan), mitragliatrici leggere e pesanti (MG 42/59), mezzi Lince, artiglieria trainata (Fh70) e semoventi (Pzh2000). Escludendo questi ultimi tre elementi, la maggior parte delle forniture inviate non erano più utilizzate dall'esercito italiano.
Gli invii previsti nel sesto pacchetto riguardano le armi di difesa missilistica, Samp-T, Skyguard Aspide e Spada: questi ultimi due sono sistemi controaerei di Esercito e Aeronautica basati su missili a guida radar. L'Aspide ha la portata di venti chilometri, un'unità di rilevamento e calcolo, due lanciatori e un veicolo trasportatore-caricatore. Lo Spada invece si avvale di un centro di avvistamento con un radar e tre sezioni di fuoco ognuna, con il lanciatore completo del radar di inseguimento e illuminazione. Il sistema missilistico terra-aria degli Aspide, è a corta portata, utilizzabile alle basse e bassissime quote. Anche questa è un'arma di vecchia generazione, non più utilizzata dall'Italia ma che potrebbe essere ricondizionata e quindi aggiornata per essere inviata in Ucraina: i missili sono depositati negli hangar di Rivolto (Udine), dove a questo punto potrebbero essere aggiornati i propulsori per renderli utilizzabili. La stessa arma potrebbe essere usata come lanciatore dei missili Sea Sparrow già forniti dagli Usa.
L'invio più importante riguarda il sistema Samp-T, sviluppato fin dai primi anni 2000 nell'ambito del programma italo-francese della famiglia 'superficie-aria': è un sistema missilistico a media portata idoneo ad operare in condizioni in cui ci sono ridotti tempi di reazione contro la minaccia aerea, ha elevata mobilità e possibilità di adeguare il dispositivo secondo tempi commisurati alla dinamicità della manovra. L'attuale versione ha capacità di avanguardia nel contrasto delle minacce aeree e dei missili balistici tattici a corto raggio. Le nostre forze armate - a quanto emerge dalle fonti pubbliche ufficiali dell'Esercito - ne hanno in dotazione cinque batterie.
L'Italia ha anche inviato forniture per i civili, tra cui i generatori, e un nuovo pacchetto di aiuti dovrebbe contenere equipaggiamenti e impianti per la protezione 'Nbcr', nucleare biologica chimica e radiologica, in questo caso utilizzabili eventualmente in zone popolate per tutelare la salute di civili e militari. Dagli indumenti protettivi, come le tute e le maschere fino alle pillole per potabilizzare acqua, saranno diversi i kit inviati da Roma per scongiurare gravi danni alle persone in caso di attacchi nucleari o con armi chimiche oppure semplicemente per far fronte ad eventuali incidenti come quelli paventati in passato nei pressi della centrale di Zaporizhzhia.
In cantiere però ci sono anche nuove sinergie industriali che porteranno a nuovi aiuti. Sotto i riflettori c'è lo stabilimento militare munizionamento terrestre di Baiano di Spoleto, che produce giubbotti antiproiettile, granate e i missili Vulcano, che possono raggiungere i 70 chilometri e possono essere utilizzati contro ogni tipo di obiettivo navale, terrestre o aereo. Ad essere mobilitato è anche lo stabilimento militare pirotecnico di Capua, che fabbrica munizionamento di piccolo e medio calibro, e di Fontana Liri, specializzato in polveri da sparo. Su quest'ultimo la Commissione europea sta valutando anche la possibilità di nuovi investimenti.
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