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Il documentario di Matteo Delbò e Chiara Avesan
L’esperienza di Riccardo Corradini, un giovane di Rovereto che studiava medicina a Siena è stato il primo studente occidentale ad aver trascorso il periodo di studio nei Territori palestinesi
Tanto entusiasmo, ma anche spaesamento e paura. Solidarietà, amicizia, opportunità di ricevere una valida formazione, riconoscenza. I 4 mesi trascorsi dallo studente italiano che sogna di diventare chirurgo d’urgenza, in quella che anche lo storico israeliano Ilan Pappe definisce “la più grande prigione a cielo aperto del mondo”, sono stati tutto questo, mesi formidabili e intensi. Un periodo straordinario che la giornalista Chiara Avesani e il regista Matteo Delbò, hanno saputo raccontare mirabilmente in un documentario-reportage pluripremiato che sta già facendo storia.
Matteo Delbò realizza documentari. Anzi dei documentari-reportage da quando collabora con la giornalista Chiara Avesani. Nel 2018 ne stava girando uno a Gaza quando ha saputo che dall’Università di Siena, grazie al programma ErasmusPlus, stava per arrivare nella Striscia uno studente di medicina, che sarebbe stato il primo ‘occidentale’ a scegliere questa zona della Palestina per il periodo di studio all’estero promosso dalla Comunità Europea. Subito lo ha contattato e il progetto di seguirlo, filmando la sua esperienza, è stato accolto da Riccardo con entusiasmo. Dal loro incontro e dalla loro permanenza all’Islamic University of Gaza è nata una narrazione preziosa che testimonia la sofferenza, ma anche la resilienza, di un popolo soffocato da una guerra che dura da decenni. Un racconto in cui si parla dell’opportunità che ha avuto un ragazzo italiano di 25 anni di conoscere una realtà che non pensava possibile e della sua capacità di affrontarla e di saperne cogliere quanto di positivo, oltre che di tremendo, potesse esserci
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Riccardo Corradini è nato a Rovereto e ha studiato medicina all’Università di Siena. Da lì è partito per fare l’Erasmus a Gaza, per poi laurearsi durante il lockdown a distanza. Ora lavora all’ospedale di Verona. Il suo desiderio era quello di approfondire le tecniche della chirurgia d’emergenza e purtroppo a Gaza ha avuto modo di farlo. Ha studiato con professori di “competenza e abilità straordinaria” e ha potuto sperimentare sul campo cosa significhi questo tipo di intervento. Nelle cosiddette ‘Marce del ritorno’, cortei di protesta contro l’espropriazione delle terre dei palestinesi da parte del governo israeliano, venivano uccise e mutilate decine di persone, soprattutto giovani, per colpa dei proiettili usati dai soldati. A contatto dei tessuti e delle ossa questi esplodono in mille frammenti costringendo spesso i medici ad amputare l’arto colpito pur di salvare la vita. E nel documentario si vede Riccardo che tenta di aiutare questi bambini martoriati. “C’è un’intera generazione di mutilati” racconta Chiara Avesani
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Nei suoi 4 mesi a Gaza, Riccardo conosce molte persone di cui diventa amico. Viene portato a delle feste e ha l’opportunità di immergersi nella cultura locale. Di questi momenti trascorsi con colleghi e amici ci sono scene bellissime nel documentario: da quella in cui si siede sul bordo del tetto di un palazzo a contemplare l’intera Striscia a quella in cui canta con un ragazzo ‘Bella Ciao’ che molti palestinesi credono sia l’inno nazionale italiano. Riccardo, alla fine, comprende quale sia il suo vero ruolo: quello di mediatore culturale, di chi ha costruito un piccolo ponte tra due mondi così diversi che ora molti altri potranno attraversare. Consiglieresti ad altri questa esperienza? “Senz’altro – dichiara - perché è stata straordinaria. E un giorno mi piacerebbe tornare da medico o da semplice turista perché con le sue luci e le sue ombre, con i suoi santi e con i suoi demoni, Gaza è senz’altro una terra che merita di vivere e di essere vissuta”.
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