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Il fenomeno dei videogiochi competitivi dilaga anche in Italia.
Quando il videogioco diventa competizione. Il sogno sono le Olimpiadi, ma le aziende investono già nel nuovo mondo. Anche il governo è pronto a riconoscere le sue potenzialità
Negli anni '80 piazzare le proprie iniziali in cima alla classifica di Pacman o Tetris, Arcanoid o Donkey Kong, poteva trasformarsi in motivo di vanto con i propri amici. Un fragilissimo status symbol pronto a cadere sotto i colpi del nuovo numero 1 di turno. Le sfide davanti ai cabinati richiamavano i ragazzini del quartiere, funamboli di joystick e pulsanti pronti a scalare la vetta a suon di "insert coin".
Per spiegare quello che oggi viene definito il "fenomeno esports" non si può non tornare indietro di una quarantina d'anni, quando quelli che oggi sono imprenditori, promotori, professionisti e animatori della scena videoludica competitiva erano bambini, o adolescenti, con la passione per Pong o Street Fighters. I tempi sono cambiati, i cabinati - oggi ricercatissimi oggetti d'arredamento o di design - sono finiti in soffitta, sostituiti dai computer prima e dalle console poi, Playstation e Xbox su tutti. La passione, però, è sempre rimasta la stessa, tramandata di generazione in generazione. Per "piazzare le proprie iniziali in cima alla classifica" non basterà più avere la meglio sull'imbattibile amico di banco ma prevalere su una schiera di giocatori provenienti da ogni parte del mondo.
Per i cosiddetti "pro-player", tutti giovanissimi, il videogioco non è più un semplice passatempo, ma un lavoro, un'attività remunerativa, con tanto di allenamenti, organizzazione, studio e disciplina. Ci sono tornei, campionati, club, squadre e team per quasi ogni gioco e quasi ogni disciplina, dai simulatori sportivi agli strategici, dagli sparatutto ai picchiaduro. Un fenomeno globale che in Italia, però, registra - stando a quanto riferiscono gli esperti - un ritardo di almeno 10 anni rispetto a realtà ormai consolidate come gli Stati Uniti o la Germania, per restare in Europa. Ma qualcosa sembra stia cambiando...
Il movimento "esportivo" oggi in Italia conta 1,2 milioni di appassionati, persone che più volte la settimana si siedono davanti al monitor per seguire un evento live. Il mondo degli esports, infatti, non è fatto solo di giocatori, ma anche di un folto ed eterogeneo pubblico, dai "tifosi" - per mutuare un termine calcistico - a semplici appassionati e curiosi. La piattaforma più utilizzata per le trasmissioni live delle competizioni videoludiche si chiama Twitch, mezzo di comunicazione di proprietà di Amazon che sta rosicchiando a Youtube il ruolo di protagonista delle streaming online. Qui gli spettatori passano ore e ore a seguire i loro protagonisti nei principali campionati di videogiochi. Una "televisione" online 24 ore su 24, con centinaia e centinaia di canali, dai più professionali - come quelli delle leghe, dei campionati o dei pro-player - ai più "casalinghi", dove lo streamer di turno intrattiene i suoi spettatori mostrando le sue abilità videoludiche.
Stando ai dati del secondo rapporto sugli esports in Italia, stilato dall'Associazione Editori e Sviluppatori Videogiochi Italiani (Aesvi) in partnership con Nielsen, l'età media degli appassionati è 29 anni, con un sostanziale equilibrio nella suddivisione per genere: 51% uomini e 49% donne. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la fascia d'età più interessata al fenomeno esports è quella compresa tra i 21 e i 40 anni. In media la fruizione degli eventi è di 4,8 ore alla settimana. Il resto del tempo viene suddiviso in altre attività e hobby, in particolare cinema, musica, sport e libri.
Il 79% degli esports fan si dedica a questa passione per intrattenimento o per passare il tempo, mentre il 67% vuole migliorare le proprie abilità personali seguendo le performance dei giocatori professionisti, vero traino del settore. I videogiochi più seguiti sono quelli sportivi e quelli multigiocatore online. La parte del leone la fa il calcistico Fifa, seguito dallo sparatutto Call of Duty e dallo strategico League of Legends, tutti titoli che hanno loro campionati e loro leghe molto seguite.
Ma gli esports non sono solo online, tutt'altro. Le fasi finali dei campionati vengono disputate quasi tutte dal vivo in arene realizzate appositamente per ospitare eventi videoludici. Per giorni decine di migliaia di spettatori affollano gli spalti in ogni città del mondo, dalla polacca Katowice alla coloratissima Las Vegas, finendo a Milano, che quest'anno ha ospitato al Palazzo del Ghiaccio la fase finale di uno dei campionati più seguiti al mondo, quello di Rainbow Six: Siege. Giocatori di ogni continente si sono ritrovati nel capoluogo meneghino per darsi battaglia davanti a migliaia di spettatori in una due giorni completamente sold-out per un montepremi non proprio trascurabile: 275.000 dollari.
Per questo oggi Aesvi, che riunisce esclusivamente sviluppatori ed editori dei videogiochi, ha deciso di aprire le porte anche a organizzazioni e associazioni esportive modificando il proprio statuto. Anche nel tentativo di raggruppare un movimento decisamente frastagliato e frammentato.
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Il sogno degli esports è fatto a cinque cerchi e si chiama Olimpiadi. Ottobre 2017 resterà, nel mondo delle competizioni videoludiche, una pietra miliare della propria storia. Proprio in quel mese il Comitato Olimpico Internazionale riconobbe per la prima volta ufficialmente gli esports come "attività sportiva". L'ennesimo tassello verso la certificazione Cio. Un passo avanti importante che fece ben sperare in un'eventuale inserimento della disciplina tra quelle olimpiche già a Parigi 2024. Un sogno che però si è infranto quando il comitato a cinque cerchi francese ha annunciato le nuove discipline: surf, climbing, skateboard, e breakdance. Niente esports, dunque, che però guardano con un rinnovato ottimismo all'edizione 2028, quando i Giochi saranno ospitati dalla città di Los Angeles.
In Italia, contrariamente a numerosi Paesi europei, gli esports non hanno ancora, per così dire, un riconoscimento "giuridico". Il Coni non ha una Federazione dedicata al nuovo fenomeno videludico anche se, a Roma, si fa un gran parlare del movimento, tanto che il presidente della Federazione Italiana Taekwondoo (Fita), Angelo Cito, ha già avviato il tesseramento dei giocatori. Ma c'è anche un'altra Federazione interessata al fenomeno, ed è quella della Danza Sportiva che già in alcuni eventi passati ha proposto gare dedicate a videogiochi sul ballo.
Il viatico verso il riconoscimento olimpico potrebbe però rivelarsi più complicato del previsto. Tra le regole imposte dal Cio, compresa quella di una ferrea normativa anti-doping, c'è quella di escludere dal novero dei videogiochi papabili alle Olimpiadi quelli che "promuovano violenza o discriminazione", per usare le parole dello stesso presidente Thomas Bach. "Come Cio - ha spiegato - l'obiettivo è promuovere la non discriminazione, la non violenza e la pace tra le persone. Valori che non trovano corrispondenza nei videogiochi, troppo spesso accomunati da violenza, esplosioni, uccisioni e scenari di guerra. Ed è qui che dobbiamo tracciare una separazione ben definita per tutti". Parole che sembrano scontrarsi con l'andamento del mondo esports dove, tra i 10 videogiochi più amati, da giocatori e appassionati, ci sono quelli in cui il protagonista ha l'obiettivo di "uccidere" il suo avversario, sia in simulazioni realistiche che in trasposizioni virtuali di personaggi fantasy. Sull'argomento la discussione è più aperta che mai e non resta altro che attendere per capire quali saranno i prossimi passi istituzionali verso un fenomeno che sta esplodendo ormai in ogni angolo del mondo.
Gli esports cominciano ad interessare anche le istituzioni italiane che mostrano una tiepida apertura. "I videogiochi non sono solo un passatempo", le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vito Crimi durante un incontro con sviluppatori e publisher.
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In Italia il movimento legato al mondo del videogioco competitivo è più in fermento che mai. Giocatori italiani sono sempre più spesso in cima alle classifiche, con professionisti che indossano il tricolore in ogni angolo del mondo. Lo scorso aprile un 16enne toscano, Riccardo Romiti - per tutti "Reynor" - ha conquistato uno dei tornei più importanti al mondo su Starcraft II, un videogioco di strategia in tempo reale. Un successo che gli è valso anche un'intervista sulla Espn, la celebre emittente televisiva statunitense dedicata allo sport. A maggio Daniele Tealdi, detto Dagnolf, ha inserito il suo nome tra gli italiani a potersi fregiare di un titolo Fifa, come accaduto in passato, tra gli altri, anche a Daniele "Ice Prinsipe" Paolucci. Un altro italiano, Diego "Crazy_Fat_Gamer" Campagnani, si è giocato il titolo nella Lega spagnola di Fifa, il corrispettivo virtuale del campionato di calcio iberico, chiudendo però al quarto posto. Giorgio "Pow3r" Calandrelli, uno dei pro-player di Fortnite più conosciuti in Italia, veste i colori di uno dei team più in vista del mondo, i Fnatic, con i quali ha partecipato ad un evento live a Katowice, trasmesso per la prima volta in diretta televisiva sulla generalista Dmax. Di esempi ce ne sarebbero tantissimi, così come tantissimi sono i team e i club che nascono ogni giorni in Italia.
Molte sono anche le società di calcio che decidono di investire negli esports. Tra le prime della serie A ad aver aperto le porte al videogioco competitivo c'è la Sampdoria, seguita poi da Roma, Bologna, Empoli, Parma e Genoa. Ma numerosi sono anche i giocatori che investono in progetti riguardanti gli esports. Marco Amelia, ex portiere campione del mondo, ha un suo team che non disputa solo campionati di Fifa ma anche di altri giochi, tra cui Fortnite. Ruud Gullit e Fernando Alonso sono altri due campioni ad aver creato una loro squadra, mentre Shaquille O'Neal e Gergard Piqué hanno finanziato società e progetti legati al videogioco competitivo. Francesco Totti ha legato la sua immagine ad un torneo online, che si chiuderà a settembre con una fase finale live, alla presenza dell'ex campione giallorosso.
In Inghilterra, così come in Spagna e in Germania, esistono campionati paralleli ai quali partecipano tutte le squadre della massima serie. La Fifa organizza la Champions League, ma anche i Mondiali, a squadre e per giocatori singoli. Negli Stati Uniti l'Nba ha la propria lega virtuale, con tanto di draft e tifo da stadio durante le partite. La crono del Giro d'Italia di quest'anno si è corsa anche sui monitor, grazie ad un simulatore utilizzato dai ciclisti per l'allenamento indoor. La Fia, la Federazione che organizza ogni anno il Mondiale di Formula 1, è partner ufficiale del campionato di Gran Turismo, videogioco di simulazione su pista. Il Roland Garros organizza, per il secondo anno consecutivo, un campionato dedicato agli appassionati di World Tennis Tour, videogioco tennistico. Le fasi finali si disputano accanto ai campi dei più famosi circuiti internazionali, compreso il Foro Italico a Roma.
Tanti sono i team che costellano il mondo del gaming professionistico. Alcuni di loro, come i QLASH e i Morning Stars, hanno anche una vera e propria gaming house dove i giocatori si allenano, si incontrano, si confrontano e studiano. Perché la vita del pro-player non è fatta solo di ore e ore davanti ad uno schermo. Quest'anno cinque di loro sono stati anche inseriti da Forbes nella lista dei 100 under 30 leader del futuro: Giorgio Calandrelli, Diego Campagnani, Lorenzo Daretti, Giorgio Mangano e Nicolò Mirra.
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Il 2019 si candida ad essere la pietra miliare degli esports. A confermarlo sono i dati che arrivano da Newzoo, azienda leader nella ricerca e analisi dell'industria del gaming che, per l'anno in corso, prevede ricavi del settore oltre la "soglia psicologica" del miliardo di dollari. Stando ai dati diffusi, infatti, nel 2019 il mondo dei videogiochi competitivi dovrebbe registrare un mercato di 1,1 miliardi di dollari, per una crescita annuale del 26,7%. Circa l'82% dei ricavi totali (897,2 milioni di dollari) arriverà dagli investimenti di brand sia "endemici" - vale a dire relativi al settore del gaming e della tecnologia - sia "non endemici" - vale a dire relativi a settori che apparentemente sembrano lontani da videogiochi e tech. In Italia, per esempio, il marchio A|X Armani Exchange è stato il primo del settore moda a scende in campo al fianco di uno dei tanti team competitivi del Paese, i milanesi Mkers, che annovera tra i suoi fondatori il cantante degli Zero Assoluto Thomas De Gasperi. Stessa strada è stata seguita da Lotto, diventato sponsor tecnico del Team Empire, una delle squadre più conosciute a livello internazionale, recente vincitrice del Mondiale di Rainbow Six a Milano. I ricavi maggiori, secondo gli analisti, arriveranno dalle sponsorizzazioni (456,7 milioni di dollari), seguite dai diritti televisivi (251,3 milioni di dollari) e dalla pubblicità (189,2 milioni di dollari).
Continua a crescere anche il pubblico appassionato di esports che nel 2019 dovrebbe attestarsi sui 453,8 milioni di persone in tutto il mondo, un +15% rispetto al 2018. Dell'audience totale, 201,2 milioni di persone sono veri e propri fan esports, mentre 252,6 milioni sono invece spettatori occasionali.
I dati diffusi da Newzoo sono un ulteriore volano per speranze e investimenti. Giorno dopo giorno numerosi brand continuano a fare il loro ingresso nel mondo degli esports, dalle bevande energetiche ai marchi d'abbigliamento, dalle compagnie telefoniche alle piattaforme multimediali. Spesso si è abusato del termine "anno zero", con l'entusiasmo del mondo esports finito più volte in una bolla di sapone. Questa volta gli analisti sembrano crederci sul serio. "Gli esports continuano a essere un'industria in evoluzione. La crescita degli esports continuerà per decenni. La finestra migliore per gli investimenti negli esports è ora". Parola di Jens Hilgers, imprenditore esports da oltre vent'anni, papà di uno dei principali team competitivi, i G2 Esports, e fondatore di ESL, la principale azienda organizzatrice di eventi e tornei professionistici.
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Jens Hilgers, fondatore ESL
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