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Pubblicati i numeri del 2022 del report "Dal mare al carcere"
Arci Porco Rosso e Borderline Europe hanno passato in rassegna un anno di articoli giornalistici
Le due associazioni hanno analizzato le notizie di stampa, in particolare quelle di cronaca locale, per documentare le storie di persone arrestate per aver guidato un barcone e finite in prigione perché accusate di favoreggiamento all’immigrazione irregolare via mare.
Le ong hanno cercato di ricostruire i numeri di questo fenomeno con l'obiettivo di mostrare la loro tesi: che è sbagliato identificare le persone che conducono gli scafi come trafficanti di esseri umani. A loro avviso, le organizzazioni che gestiscono la tratta dei migranti - le vere responsabili del fenomeno - non vengono toccate dai procedimenti penali, mentre nel mirino finiscono individui a loro volta sfruttati dalle stesse organizzazioni, persone con storie difficili che magari cercavano solo di mettersi in salvo.
"Nel 2022 abbiamo contato il fermo di 264 persone semplicemente monitorando le notizie della stampa. Facendo un paragone con il rapporto annuale della polizia del 2021 possiamo immaginare che i numeri reali dell’anno appena passato siano circa 350 i fermi di capitani di barche di migranti".
Sara Traylor, operatrice di Arci Porco Rosso, racconta i nuovi contenuti del report "Dal mare al carcere" che la ong ha pubblicato nel 2021. Il numero di fermi rappresenta una persona ogni 300 arrivate, con una proporzione simile al 2021 e complessivamente anche simile al periodo 2014-2017.
"Rispetto agli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti: sono diminuiti i fermi di persone provenienti dall’Africa occidentale mentre sono aumentati quelli di persone provenienti dal nord Africa e dall’Asia centrale". Negli anni successivi all'apertura della rotta libica, tantissime persone provenienti dall'Africa occidentale sono state arrestate, circa un quarto di tutti i fermi. Negli ultimi due anni, Arci Porco Rosso ha contato meno di 10 fermi che coinvolgono cittadini di questi paesi.
Nell’ultimo anno, inoltre, sono drasticamente diminuiti i fermi con l’accusa di essere scafisti di persone russe e ucraine. "Gli ucraini erano un elemento molto importante per l’attraversamento della tratta ionica – conferma Sara Traylor – dalla Turchia all’Italia, anche perché spesso erano già skipper di formazione". Adesso gli ucraini sono stati sostituiti da persone provenienti dall’Asia Centrale e da turchi. "Questo significa che come succede in altre rotte le persone vengono addestrate molto brevemente, poco prima della partenza, e si trovano ad affrontare il viaggio con i pochi strumenti che hanno".
La nazionalità più rappresentata tra i fermi è quella egiziana (75 fermi) forse a causa di una nuova area di partenza dalla Libia individuata al confini con l’Egitto. Seguono cittadini turchi (52 persone fermate) e tunisini (35 persone fermate).
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Un bimbo arrivato con uno dei due barconi nel porto di Lampedusa nel 2011
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Ilnar è un giovane russo di 38 anni della repubblica del Tatarstan, il 10 ottobre del 2021 viene fermato su una barca al largo di Bruzzano Zeffirio sulla costa ionica della Calabria. Sul natante ci sono oltre 70 persone e molti lo indicano come uno di quelli che guidava. Il ragazzo è andato prima ad Odessa e poi ad Istanbul dove un’organizzazione criminale lo ha addestrato in pochi giorni a guidare una piccola imbarcazione, salpata con altri migranti per l’Italia.
"Ilnar è uno di quelli che ammette di essere uno scafista o capitano, come si chiamano tra di loro - racconta il suo avvocato Giancarlo Liberati, che di casi come questo ne segue a decine -, ma non sapeva che stava commettendo un reato". Ilnar è un parrucchiere con tanto di profilo instagram e ai giudici lo ha detto: "Faccio il parrucchiere da sette anni, che criminale sarei?". E’ arrivato poche settimane prima dello scoppio della guerra, non voleva combattere, ed ora è terrorizzato di essere deportato e di dover combattere contro gli ucraini: "Mia zia ha sposato un ucraino, mia sorella ha sposato un ucraino, mentre ero qui ha avuto un figlio e quindi ho un nipote mezzo ucraino, come potevo andare in guerra?".
In Italia Ilnar potrebbe essere condannato dai 3 ai 5 anni di galera per aver commesso il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, descritto nell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione. "Quella legge però - dice l’avvocato - ha come scopo quello di punire i favoreggiatori non quelli che sono stati utilizzati dai favoreggiatori".
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In questo dedalo di processi e inchieste spesso, in Italia, ci finiscono anche ragazzi, quasi bambini, a volte processati e incarcerati come adulti, accusati di scafismo al momento dello sbarco sulle coste italiane. Viaggi al limite come quelli di Saidu Bangura, oggi 22enne, scappato dalla Sierra Leone quando aveva 13 anni, e di Joof Ousaineau, nato nel 1999 a Barra, vicino a Banjul, la capitale del Gambia, e arrivato a Pozzallo a 16 anni. Saidu e Joof sono solo due di un numero imprecisato di minori stranieri non accompagnati arrestati sulle nostre coste perché individuati come coloro che guidavano la barca. Entrambi erano minorenni al momento dello sbarco (Saidu avrebbe compiuto 18 anni il giorno dopo) ma sono stati processati come maggiorenni, passando anche molto tempo in un carcere per adulti.
Il collettivo europeo di giornalisti Lost in Europe (lostineurope.eu), che dal 2018 racconta le storie dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Europa, ha cercato insieme all’ANSA di analizzare il fenomeno dei minorenni che per sbaglio sono finiti in carcere come adulti e dei ragazzi accusati in Italia di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
L’Ipm, Istituto Penitenziario Minorile di Catania, dal 2013 inizia a riempirsi di ragazzi stranieri accusati di favoreggiamento all’immigrazione a cui veniva applicato (per gli istituti minorili non accade più dal 2018) l’art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario che vieta la concessione di benefici. "Molti erano semplici pescatori", spiega Elvira Iovine del Centro Astalli di Catania, volontaria al carcere minorile. "Per questo conoscevano il mare e sapevano guidare la barca". Secondo la direttrice dell’Ipm, Maria Randazzo, all’epoca sono arrivati in 5 anni almeno 50 ragazzi. "Venivano indicati come quelli che avevano un ruolo da leader nell’imbarcazione", racconta. "Distribuivano acqua, cibo, a volte guidavano, ma erano in realtà utilizzati per le loro competenze tecnologiche, per l’uso del cellulare, per la lingua - parlavano inglese o francese e potevano farsi capire da tutte le persone a bordo. Ma non avevano alcun guadagno, non erano parte dell’organizzazione del viaggio".
Joof ha sempre negato di aver guidato alcunché: anzi, ha sofferto il mal di mare per tutto il viaggio e al momento del salvataggio è stato anche ricoverato in ospedale per disidratazione. Saidu racconta invece che sì, il barchino lo guidava. "Non sapevo fosse un crimine. Che altro potevo fare? Cercavo di salvarmi la vita. Di salvarci la vita", dice. Erano stati i libici a insegnargli ad accendere il motore, minacciandolo di morte. Né Joof né Saidu hanno ancora, a molti anni di distanza, messo la parola fine alla loro vicenda giudiziaria.
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