(dell'inviata Valentina Brini)
Il sodalizio tra Roma e
Bruxelles sui migranti ora ha anche un sigillo giuridico. Quando
il team legale della Commissione europea ha preso la parola
davanti ai giudici della Corte di giustizia Ue, l'udienza sui
rinvii del Tribunale di Roma che hanno frenato il progetto del
governo sui Cpr in Albania era in corso da ormai tre ore. E
dalle osservazioni della consulente Flavia Tomat - diverse
rispetto alle memorie scritte - è arrivata la conferma che gli
equilibri su frontiere e asilo sono ormai cambiati: l'Europa è
pronta a blindare i rimpatri e a riconoscere la procedura
accelerata per esaminare le domande d'asilo anche di chi arriva
da Paesi ritenuti solo in parte sicuri. A patto di tutelare
determinati gruppi identificabili di persone a rischio. Una
sponda che alimenta le speranze italiane sui centri di Shengjin
e Gjader, spalleggiate in aula anche da gran parte dei governi
dell'est e del nord Europa.
A frenare però sono i giudici di Lussemburgo custodi del
diritto comunitario: il collegio dei 15 togati ha subito
incalzato Bruxelles, lasciando intravedere un delicato dibattito
interno che culminerà il 10 aprile nelle conclusioni - non
vincolanti - dell'avvocato generale Richard de la Tour, prima
della sentenza attesa a fine maggio.
Le cause riunite al vaglio della Corte - nate dai ricorsi di
due cittadini del Bangladesh condotti in Albania e poi respinti
perché provenienti da un Paese considerato sicuro dal governo -
sono destinate a fare scuola: il verdetto detterà la linea per
tutti gli altri rinvii già pendenti e per quelli in arrivo,
dirimendo il nodo sulla nozione di Paese terzo sicuro.
Inevitabile il muro contro muro tra l'avvocatura di Stato e i
difensori dei migranti, il primo a essersi consumato nell'aula
delle grandi udienze di Lussemburgo. L'Italia, nell'attacco
frontale del legale dei richiedenti asilo, Dario Belluccio, "ha
tradito i principi di certezza del diritto e di eguaglianza"
sancendo la "morte" del diritto d'asilo Ue "piegato alle logiche
delle politiche sull'immigrazione". La prova "lampante", secondo
l'avvocato, è racchiusa nei numeri: la Germania ad esempio vanta
9 Paesi designati sicuri, mentre l'Italia ne ha definiti 19. Un
divario che dimostrerebbe come "gli Stati pieghino le regole"
alle proprie strategie. Un'arringa dai toni accesi rafforzata
nelle stesse ore dalla presentazione a Roma del report 'Oltre la
frontiera' del Tavolo Asilo e immigrazione, che ha bollato i Cpr
come "illegittimi e sbagliati sul piano etico, giuridico ed
economico".
Di tutt'altro avviso invece i legali dello Stato - Sergio
Fiorentino, Lorenzo D'Ascia, Ilia Massarelli ed Emanuele Feola -
secondo i quali la sicurezza di un Paese non deve
necessariamente essere riconosciuta in modo uniforme per tutti.
Non esiste, nella posizione del governo, "un concetto di Paese
sicuro in senso assoluto, privo di alcun margine di insicurezza
personale". Ed è quindi ammissibile, stando all'Avvocatura, "che
vi siano eccezioni al principio di sicurezza" anche per "intere
categorie di persone" pur senza intaccare le garanzie per i
richiedenti asilo sottoposti a procedura accelerata.
Una linea che trova sponde solide non solo a Bruxelles, ma
anche in molte capitali europee - dove già nei mesi scorsi le
"soluzioni creative" messe in campo dal governo Meloni avevano
raccolto consensi -, con l'unica eccezione in aula della
posizione più prudente espressa da Berlino.
L'ultima benedizione della squadra di Ursula von der Leyen al
protocollo Italia-Albania era arrivata appena una settimana fa a
Roma tra le strette di mano della premier Giorgia Meloni con il
commissario per la Migrazione, Magnus Brunner. La promessa di
una cornice giuridica per gli hotspot extra-Ue - destinati però
ai rimpatri e non all'esame delle domande d'asilo come nel
modello Albania - si concretizzerà l'11 marzo con una riforma
attesa da mesi. Il pressing di Roma resta però alto per
anticipare una lista Ue dei Paesi d'origine sicuri entro la
primavera.
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